La violenza sessuata non è più emergenza; a clamori spenti la parola stessa viene sostituita con “tutto a posto”. Nel nostro Paese, sempre, o è emergenza o è tutto a posto.
È un inganno non nuovo, ma la storia che si ripete è sempre una caricatura del passato. Una tragica caricatura. La connivenza Istituzionale sulla subalternazione violenta delle donne è espressa a nostri giorni mettendo una tragica maschera ridanciana allo sciovinismo maschilista di sempre.
La vicenda di Taurianova, e i giornalisti fanno nome e cognome della vittima, è una tragedia lunga sei anni. Sei anni nei quali una donna ha vissuto reclusa, diffamata e perseguitata. Nessuno le ha più dato lavoro, trasformandola in un'ospite indesiderata a casa sua. Sola contro l'omertà del paese.
La vicenda è una delle tante, che ci hanno sollecitate a smentire che per le donne sia tutto a posto.
Da quando abbiamo sollevato il velo delle contraddizioni sulla responsabilità pubblica, non abbiamo mai smesso di pensare che nonostante le parole, quella responsabilità non è agita dallo Stato.
Abbiamo scritto una proposta di legge per sostanziare la responsabilità pubblica: una legge sul risarcimento delle vittime delle violenze sessuate, attraverso la formazione di un fondo pubblico.
Le norme auspicate non mirano alla monetizzazione del danno, ma alla valorizzazione sociale del coraggio, per esempio, dell'allora tredicenne vittima di Taurianova.
Le norme auspicate non si sostituiscono ad una legge organica contro le violenze, semplicemente ne anticipano la parte irrimandabile.
Da quando abbiamo resa pubblica la nostra legge, sempre più spesso, senza nominarci, nell'ordinaria strumentalizzazione delle cronache, si dice che è già possibile essere risarcite, che è possibile avere coraggio perché c'è la legge sugli atti persecutori.
Sempre la vicenda di Taurianova dimostra il contrario, e cioè che in questi sei lunghi anni una giovane donna è stata sola, abbandonata dallo Stato e dalla sua comunità che ancora è corroborata da un pensiero condiviso di ingiuria per le vittime. Dice ancora che non si può arrestare diffidare una comunità, ma si deve promuovere l’immagine sociale della vittima, esaltare il valore sociale dei suoi gesti. La costruzione di un pensiero ormai condiviso di condanna per le mafie, è avvenuta per la consapevolezza che parallelamente all’inasprimento delle pene, andava promossa l’immagine sociale della vittima e del suo coraggio.
Ci vuole tempo per cambiare, nulla avviene automaticamente in conseguenza del varo di una norma, ma da qui bisogna cominciare.
È possibile essere risarcite, oggi, ma davvero non si coglie la differenza questo ed il fondo pubblico? Tra una lite privata e l'espressione pubblica dello stare dalla parte della vittima?
Non si può monetizzare appunto, ma la legge vigente lo fa.
E che dire della dimensione associativa automatica del crimine, dell'omertà, della strutturalità degli usi convenuti, che prevedono prima lo stupro e poi l'alienazione di ogni bene e della possibilità di conquistarlo.
Continuiamo ad affermare l’esigenza di una legge organica, e non pensiamo sia contraddittorio anticiparne una parte: lo abbiamo fatto per infrangere le regole che ancora permettono alla politica di smembrare la nostra difesa:come ha fatto approvando la legge sugli atti persecutori senza sostenere concretamente le donne. La giusta punizione del colpevole, inasprendo le pene, doveva prevedere atti patrimoniali e protezione non assistenziale per le vittime. L'esempio dell'ex coniuge è illuminante: la reclusione è un buon motivo per non versare gli alimenti.
Noi vogliamo andare verso l'eliminazione di quel meccanismo perverso basato su leggi che mentre puniscono il colpevole, costringono la vittima ad identificarsi in un modello di vita dipendente da percorsi di accompagnamento obbligato (per altro impropriamente finanziati). Questo non significa il superamento delle competenze dei veri centri antiviolenza.
Significa liberarli dalla clandestinità delle vittime e dalla loro povertà materiale.
Noi sappiamo di dover andare sempre oltre.
L’obiettivo di tutto questo è far discutere una legge dando forza ai suoi contenuti. Il percorso della legge d’iniziativa popolare e quello, scelto in alternativa, di chiamare alla condivisione alcune parlamentari, non tolgono nulla alla “laicità” dell’altro.
Le esperienze di 50e50, propositiva dell’UDI, e quella precedente sulla violenza sessuale hanno avuto un grande significato, hanno richiesto un impegno anche esso produttivo di consapevolezze.
Nel caso della seconda citata, le parti abrogative hanno naturalmente provocato l’abolizione di norme come il matrimonio riparatore, l’eccesso di mezzi di correzione ecc. Per quanto riguarda le parti propositive, come anche sarà per 50e50, il passaggio in commissione è previsto obbligatoriamente, lì i parlamentari devono essere coinvolti e i comitati, naturalmente, devono contattarli, non solo per vigilanza sui tempi. Infatti le commissioni rielaborano, e i parlamentari chiedono la calendarizzazione.
La pressione sui parlamentari è indispensabile, tanto che un progetto costato fatica e denaro può rimanere nel cassetto anche per 17 anni, come è avvenuto, per l’ormai superata legge d’iniziativa femminista sulla violenza sessuata presentata nel 1980.
Quando abbiamo scelto la modalità della richiesta di sottoscrizione e coinvolgimento di alcune parlamentari, lo abbiamo fatto su alcuni punti non negoziabili, ed abbiamo costruito una relazione basata sulla convinzione dell’interlocutrice espressa pubblicamente.
I passi successivi, cioè le azioni per dare visibilità e concretezza alle volontà che si saranno espresse, saranno certamente un’altra fatica ed un’altra sfida.
Stefania Cantatore