Alessandra Giordano
Cadorna non è una fermata
viennepierre, 2009, pagg. 164, € 20,00
«Si spostano a migliaia/ di mattina verso il centro/ oppure verso zone/ periferiche industriali, gambe,/ sguardi, indifferenze e passi. Se anche solo/ uno di loro muovesse in senso/ contrario, risulterebbe indifeso, sgraziato, da poco. Nell’opera/ dei decenni che hanno creato le masse/ sembrerebbe fuori posto, alienato/ unico».
Alla fotografia poetica dei bellissimi versi di Stefano Lorefice che liricizzano gambe, passi, scarpe in un’inquadratura alla Louis Malle, si contrappone l’autrice nel suo riuscitissimo esordio in narrativa nella tenacia di restituire alla massa dei corpi, costretti ad una momentanea convivenza, parole e volti e storie. Diventano anime e segnano percorsi nel ventre di Milano replicando l’inutile vacuità del vivere insieme ad immagini ed incontri di tipologia quasi surrealista.
«Invece hai visto quella lì sotto, in prima fila? È la madre di Alessia, la down… sai quelli sono molto affettuosi… è vero, spesso danno anche carezze e baci… c’è anche la bambina cinese…come si è buttato?… Franci… Franci, dove sei amore? Vieni, andiamo subito a casa». All’ovvietà di crudeli stereotipi, al chiassoso rimandare a mente la giornata di scuola appena trascorsa, tra zaini e magliette corte, il volto del clown che sorride bonariamente all’uomo tradito: Il vecchio parla d’amore e l’amore si sfoglia piano, delicatamente nell’attesa del prossimo fiore, è trepidazione, emozione, sussulto e, l’attimo di un gesto, diventa eternità di memoria ed ingentilisce l’animo... «Forse, forse lei ama me, una mattina, sì una mattina mi ha amato. Mi ha portato un mazzo di margherite» …il dolore che ha segnato l’uomo tradito lo spinge ad infierire per allontanare lo strazio «ti regala i fiori per pietà, e poi…» ma il vecchio nel suo cristallino sentire gli offre un petalo dei cinque rimasti ai suoi fiori per portarlo alla moglie… Intenso e alterno questo fotografare anime, volti e storie.
Il poeta in cima al convoglio sotterraneo annota pensieri; è un poeta o un’anima o un volto attento o l’autrice stessa che si muove in un’ipotesi di ricerca?
«Ripensò alla ragazza in rosso, poco più giovane di lui, e si chiese se non fosse stato solo il caso a mettere su questo mondo lui, lì in piedi e coi soldi in tasca e lei seduta, a mangiare chissà quando». Una storia di giorni, di dubbi, attese, ricerche, una storia d’incontro… perché Cadorna non è una fermata. Ma nessuna fermata è fine a se stessa rimanda pensieri, storie, introiezioni, nostalgie e fissità di dolore che resta nella nostra e altrui maschera tanto da confondere verità e menzogna in un altalenando di rimozioni e tentativi di nuova verginità. È spontaneo il rimando alle “ maschere nude” di Pirandello e al desiderio impotente di strapparle dalla pelle e riconoscersi in processi diversi. Ma capita come in “gita al faro”; quando il male sembra rimosso e l’occasione giunta, quello che è impresso a fuoco torna con un nuovo affanno. «...soffia un vento così forte/ da far crollare gli alberi di nostalgia...» (Tahar Ben Jalloun, doppio esilio).
«Lo saluto, ma sto parlando ancora una volta a quella maschera senza espressione».
Profonde le interviste che costituiscono parte integrante del testo che non nasce dal soggettivo interpretare volti e storia; altri aspetti di Milano, appaiono amati, cercati, raccontati in rapporto con il proprio io relazionale e interiore e mi fermo affascinata alle righe di Ferruccio Parazzoli: «…perché se lei si alza da qui, piglia il metro e scende a Porta Venezia la vede. È un volto di Cristo ed è in uno spiazzo dove c’è un’edicola di giornali, due bancarelle di libri usati e, in fondo, prima di proseguire per viale Vittorio Veneto, nel nicchione di una tettoia in ferro qualcuno ha dipinto il Cristo-città che soffre, il Cristo incoronato di spine che perde sangue… Il Cristo degli ultimi».
L’ho cercato anch’io, l’ho visto e fotografato.
È un’immagine forte, il sangue sembra uscire ed essere raccolto dalla pietà del nicchione.
Mi sono staccata a fatica per entrare nel ventre della stazione.
Patrizia Garofalo