Dhafer Youssef è un musicista tunisino, specialista dell'oud, strumento di origine medio-orientale e antesignano del liuto. Ha studiato a Vienna e le sue collaborazioni con musicisti europei sono numerose, tra le più significative il rapporto con il trombettista sardo Paolo Fresu che continua da anni e che ha già prodotto diversi lavori comuni. Questo ultimo disco nasce sull'estensione di un progetto della BBC per alcuni concerti: unire il canto sufi e la musica del deserto di Dhafer alle contaminazioni elettroniche provenienti dai migliori musicisti norvegesi. Da questo punto di vista basterebbero i primi due brani ad esemplificare e far comprendere le atmosfere del disco. In "Cantus Lamentus" Youssef dispiega il canto sufi in tutta la sua straordinaria bellezza e potenza accompagnato solo dagli archi dell'Oslo Session String Quartet. La voce sale ad estensioni vertiginose nel brano che è dedicato ad Arvo Part, compositore contemporaneo, certo tra i più grandi di questo momento storico. Completo cambio di atmosfera nel secondo pezzo, "27 Century Ehtos", dove la voce del protagonista è accerchiata e sospinta da elettroniche e suoni computerizzati. Notevole il lavoro di Eivind Aarset, produttore e chitarrista, che riesce a far incontrare senza frizioni apparenti le ambientazioni elettroniche con le suggestioni ancestrali. Quando finalmente nel terzo brano (“Miel et cendres”) compare il suono dell'oud con un tappeto sonoro creato dagli archi sullo sfondo, eccoci proiettati magicamente nello scenario del deserto africano e contemporaneamente in una corte europea medioevale. L'altro grande protagonista dell'album compare più avanti, come se gli aromi e i colori fossero distillati poco a poco, per abituare lentamente il palato dell'ascoltatore alle mille varietà di sapori e gusti. Si tratta del trombettista Arve Henriksen, prodigioso nuovo talento della scena jazzistica norvegese. Con il suo caratterisco suono, certamente in parte ispirato a Jon Hassell, Henriksen è il protagonista di “Eleventh stone”.
Non tutto il cd riesce a mantenere lo stesso livello di tensione emotiva, ma si tratta comunque di un album di notevole spessore ed interesse. In una intervista a Antonio Lodetti, Dhafer spiega così il suo mondo sonoro:
«Non si possono negare le proprie radici e la propria storia. Io sono cresciuto con le antiche ballate del deserto, con i canti dei griots, ovvero i nonni dei bluesmen. Ma vivo nel Duemila e ho assorbito i suoni moderni. Devi suonare quello che sei, e per questo unire la giusta dose di presente e passato per essere al passo con l'attualità e proiettarti nel futuro. Io parto dalle origini ma cerco di mischiare cultura e novità nelle mie composizioni. Il sufi mi guida sulle strade della saggezza, della spiritualità e del misticismo, io lo trasformo in suoni elettrici per mantenere il contatto con la realtà e con le sue contraddizioni».
Roberto Dell'Ava
Dhafer Youssef oud, voce
Eivind Aarset chitarre, produzione
Arve Henriksen tromba
Audun Erlien basso
Rune Arnesen batteria
Jan Bang programmazione elettronica
Marilyn Mazur percussioni
Oslo Session String Quartet
Track list:
Cantus Lamentus
27th Centuy Ethos
Miel et Cendres
Wind & Shadows
Odd Poetry
27th Ethos
Persona non grata
Postludium
Eleventh Stone
Ivress Divine
Un Soupir Eternel
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