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Orlando Luis Pardo Lazo intervista Yoani Sánchez 
La blogger cubana, quotidianamente minacciata e aggredita, che ha parlato con Barack Obama
31 Gennaio 2010
   

«Il terrore che provo quasi non mi fa digitare i tasti del computer, ma voglio dire a chi legge che oggi sono stata minacciata insieme alla mia famiglia e che quando una persona raggiunge un determinato livello di panico una dose maggiore non cambia la situazione. Non voglio smettere di scrivere, né di digitare frasi su Twitter, non sto programmando di chiudere il mio blog, non abbandonerò l’abitudine di pensare con la mia testa e - soprattutto - non voglio smettere di credere che loro sono molto più spaventati di me».

Così Yoani Sanchez chiudeva il post di ieri sul blog Generazione Y, ospitato nella versione italiana curata da Gordiano Lupi su LaStampa.it. Post che vi consigliamo di leggere integralmente: “Molto più spaventati di me”, mentre qui vi proponiamo una recente intervista rilasciata dalla blogger a Orlando Luis Pardo Lazo.

 

 

Intervista a Yoani Sánchez

La blogger cubana che ha parlato con Barack Obama

 

Yoani Sánchez è una cittadina cubana privilegiata, perché è la sola che è riuscita a ottenere un colloquio con un Presidente degli Stati Uniti. Nel novembre del 2009, infatti, ha rivolto sette domande a Barack Obama che ha risposto in breve tempo e subito sono state pubblicate sul blog pluripremiato Generación Y. Yoani Sánchez ha realizzato ciò che la stampa ufficiale non è riuscita a fare in mezzo secolo: un dialogo faccia a faccia con il “leader del mondo libero”, il Presidente di un paese che il regime cubano considera il suo principale nemico.

I media cubani hanno ignorato lo storico incontro virtuale. In compenso pubblicano caricature di Barack Obama e l’ex Presidente Fidel Castro Ruiz attacca spesso il Presidente statunitense nelle Riflessioni pubblicate sul Granma. Anche l’attuale Presidente di Cuba, il generale Raúl Castro Ruiz, ha ignorato l’intervista, oltre a non aver mai risposto alle sette domande che Yoani Sánchez gli ha rivolto.

Yoani - che la rivista Time nel 1998 ha indicato tra le 100 persone più influenti del mondo - vive con il marito Reinaldo Escobar e il figlio Teo al quattordicesimo piano di un condominio in stile jugoslavo che domina Piazza della Rivoluzione. Yoani, in passato, si è guadagnata da vivere insegnando spagnolo agli stranieri, ma adesso pubblica articoli su importanti riviste e quotidiani internazionali (in Italia collabora con La Stampa di Torino, ndt). Nella loro casa, Yoani e Reinaldo hanno ideato un concorso per blogger cubani, tengono una libreria e gestiscono un’Accademia Blogger - non ufficialmente riconosciuta dalle autorità - per formare nuovi blogger indipendenti e per far crescere la blogosfera cubana.

Dal suo balcone, contrassegnato con una Y al neon-verde visibile dal monolito di Piazza della Rivoluzione, punto focale dello stato cubano, questa ragazza magra di 34 anni, con la sua pelle quasi trasparente e cascate di capelli scuri, condivide le sue prospettive per il 2010. Secondo molti analisti politici, quest’anno potrebbe essere importante per Cuba. Dal 2008 Yoani Sánchez pubblica Generación Y, un blog tradotto in varie lingue che conta milioni di visite al mese, ma è inaccessibile per i lettori cubani. Tuttavia, ogni giorno che passa, Yoani è sempre più nota a Cuba perché molte persone ricevono illegalmente i canali televisivi che trasmettono da Miami.

Yoani Sánchez è una cittadina impegnata a espandere la libertà di espressione all’interno dell’isola, ma è indipendente dalle organizzazioni di dissidenza cubana e dai partiti di opposizione. Nonostante tutto è perseguitata da agenti della Sicurezza di Stato e dai giornalisti ufficiali che non perdono occasione per diffamarla e per offenderla. Per realizzare l’intervista a Obama, Yoani ha inviato le domande tramite un amico, ma le risposte le sono state consegnata a mano in terra cubana. Molte persone non credevano che le risposte provenissero da Barack Obama, fino a quando un portavoce della Casa Bianca ha confermato il contenuto dell’intervista.

 

Il Presidente Barack Obama, parlando a lei e all’opinione pubblica mondiale, ha assicurato che “gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di ricorrere alla forza militare contro Cuba”, aggiungendo che “soltanto gli stessi cubani sono in grado di promuovere un cambiamento positivo a Cuba”. A suo avviso, il popolo cubano si sente in pericolo e teme un’imminente “invasione imperialista”?

La propaganda politica cubana ha sempre avuto l’obiettivo di mettere in guardia il popolo contro una presunta imminente invasione e di incutere timore nei confronti di un potente nemico che ci minaccerebbe da vicino. Molti cubani non credono più alle affermazioni dei cartelloni propagandistici, ma neppure si fidano di giornali e televisione. Dopo aver ripetuto troppo spesso che era imminente la guerra contro il nostro vicino del Nord, la minaccia ha perso forza e adesso in pochi prestano attenzione a questo tema. I veri problemi di Cuba sono altri, non certo l’invasione statunitense, ma il crollo della produzione, la mancanza di libertà e un potere anacronistico.

 

Come valuta politicamente il silenzio del Presidente Raúl Castro in risposta alla sua intervista?

Il potere a Cuba non parla ai cittadini. Tenta di mascherare le decisioni che riguardano la popolazione come se provenissero da un dibattito, ma in realtà si delibera in un solo ufficio, all’interno di una famiglia e di clan militari. L’Assemblea Nazionale si limita ad apporre timbri, votando all’unanimità le decisioni prese in altre sedi. Per questo riesco a ottenere un colloquio con il Presidente di un altro paese, mentre il mio Presidente mostra completa indifferenza. Si torna al peccato originale di Raúl Castro: non è stato eletto dal popolo con libere elezioni, ma è salito al potere per eredità familiare, grazie a un legame di sangue, come succedeva nelle monarchie. Pertanto, pensa di non dover rispondere alle domande e alle critiche che provengono dal popolo cubano. Non si ritiene responsabile per non aver fatto riforme importanti, per la crescente repressione e per i mancati miglioramenti produttivi. Detto questo, non ho rinunciato alla speranza che Raúl Castro possa rispondere alle mie domande, soprattutto adesso che conosce le risposte di Barack Obama.

 

In ambito accademico, tra gli esperti di Cuba, e a livello popolare, si nota una certa mancanza di fiducia in una transizione democratica a Cuba. C’è il timore che il paese potrebbe cadere nell’anarchia o addirittura finire in una guerra civile. Lei cosa ne pensa?

I governanti cubani hanno avuto diverse opportunità negli ultimi cinquant’anni per attuare una transizione graduale e ordinata. Ogni volta che le circostanze favorivano riforme in senso progressista, loro hanno preferito rendere le cose più difficili, scegliendo un maggior controllo e un’asfissiante centralizzazione. Questo atteggiamento ha impedito qualsiasi modifica e ogni apertura rischia di creare fratture sociali e di generare una spirale di violenza. L’attuale governo di Cuba sarebbe il principale responsabile per qualsiasi focolaio di disordini civili, perché ha perso ogni occasione per traghettare il paese verso una transizione ordinata e pacifica. Nonostante lo spettro di un colpo di Stato o di una rivolta popolare ci perseguiti, ritengo che una necessaria e inevitabile transizione a Cuba possa verificarsi pacificamente. Abbiamo la fortuna di vivere in un paese privo di odio etnico e di conflitti linguistici o religiosi. Non abbiamo conflitti regionali che potrebbero portare a guerre civili, quindi lo scontro sarebbe basato esclusivamente sull’ideologia. Sappiamo che molte persone sono obbligate a fingere lealtà verso il sistema attuale ed è impossibile calcolare quante vorrebbero vivere in una democrazia. In ogni caso credo che siano la maggioranza.

 

In quale misura pensa che Barack Obama abbia mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale relativamente a Cuba, nel suo primo anno in carica?

In soli dodici mesi, Obama ha fatto di più per normalizzare le relazioni con Cuba che qualsiasi precedente Presidente americano nel corso di un intero mandato. Non siamo al primo posto nella sua agenda, ma non siamo stati completamente dimenticati. Ha abolito le restrizioni di viaggio per i cubani che vivono negli Stati Uniti e i limiti di invio di denaro per le loro famiglie. Non solo, “minaccia” di consentire il libero turismo nordamericano sull’Isola. Il nostro governo è un po’ confuso, perché ha sempre utilizzato gli Stati Uniti come un alibi alla mancanza di libertà, dipingendoli come un nemico potente e aggressivo. Grazie al suo sorriso e alla sua gioventù, il Presidente americano è ammirato da molti miei compatrioti. Per contrastare quella che sta diventando una vera e propria “Obamamania”, la retorica antiamericana di regime sta fabbricando slogan e frasi volgari tipo “Obama è come Bush, solo che è dipinto di nero”.

 

Vorrei conoscere la sua opinione sull’embargo e sulla politica di restrizioni economiche statunitensi nei confronti di Cuba.

Credo che queste restrizioni economiche rappresentino un errore della politica americana verso Cuba. Non servono a soffocare la classe dirigente dell’Isola, ma creano solo difficoltà materiali per la popolazione e consentono la radicalizzazione di un discorso ideologico all’interno di Cuba. L’embargo è stato un argomento per giustificare un’improduttiva e inefficiente economia statale, una vera rovina per molti settori. Peggio ancora, è stato utilizzato per sostenere il motto: “in un paese sotto assedio, dissentire equivale a tradire”, che contribuisce alla mancanza di libertà per i miei concittadini. In quasi cinquant’anni il blocco economico non ha mai dato effetti postivi e il potere di chi ci comanda non è venuto meno. Un esempio è la questione dell’accesso a Internet. I nostri governanti hanno sempre detto che le restrizioni in materia di accesso alla rete sono dovute agli Stati Uniti che non consentono a Cuba di connettersi al suo cavo sottomarino. Le vittime di queste restrizioni sono cubani ordinari. Abbiamo dovuto rinviare il nostro piacere di Internet, mentre la polizia, la censura e i media ufficiali navigano in rete senza limiti. Le società di telecomunicazioni nordamericane hanno tentato di negoziare con i corrispettivi organismi cubani e Barack Obama ha cercato di eliminare questa limitazione all’uso di Internet. Il governo di Raúl Castro ha ignorato le proposte e per questo motivo continuiamo a essere “l’isola dei non connessi”. Su questo tema è evidente che la responsabilità è tutta del nostro governo.

 

Cosa chiederebbe al governo nordamericano e ai cittadini degli Stati Uniti per migliorare le relazioni con Cuba?

In primo luogo, dobbiamo mettere da parte l’idea che le relazioni tra i popoli corrispondano agli accordi tra governi e alle relazioni ministeriali. Tra Stati Uniti e Cuba esiste una storia condivisa, una sintonia e una cultura che non dipendono da patti tra amministrazioni. Un dettaglio linguistico dimostra la simpatia dell’Isola verso i vicini del Nord: nei loro confronti non utilizziamo mai la parola “gringos” con tutte le sue connotazioni negative, ma l’espressione “yumas” che è molto più amichevole. La nostra nazione non è contenuta in un unico territorio; vi sono cubani in ogni parte del mondo e soprattutto all’altro lato dello stretto della Florida. Di conseguenza, il nostro destino è inscindibilmente legato agli Stati Uniti, con il dovuto rispetto per la nostra sovranità. Una maggior collaborazione, più scambi culturali e libere comunicazioni porterebbero vantaggi per entrambi i popoli. Per questo motivo sono favorevole a un’apertura immediata per consentire a tutti i nordamericani di recarsi a Cuba, una volta finito l’embargo e le ostilità nocive della guerra fredda, eliminando tutto ciò che limita i contatti tra i cittadini dei due paesi.

 

Una generazione di giovani cubani e statunitensi affronta in modo diverso la questione delle differenze fra i due governi e questa generazione comprende sia lei che Barack Obama. Guardando al 2010, dopo mezzo secolo dalla rivoluzione, prevede qualche progresso verso una reciproca comprensione, o crede che lo scontro tra queste due nazioni continuerà ancora?

Per fortuna, il 2010 è iniziato con un aumento di persone che anche a Cuba hanno trovato il coraggio di esprimere la loro opinione. Come mi ha detto un amico, l’anno scorso è stato importante per iniziare a esprimere insoddisfazione e per cominciare a capire che si poteva vincere la paura di parlare. Mi auguro che nei prossimi mesi vedremo quelle voci cantare, in una nuova alba senza tensioni, senza leader che restano al potere per cinquant’anni, e soprattutto senza il timore che oggi consuma la società cubana. Parlo di una nuova fase dove i nostri leader non ci “guideranno”, ma ci “serviranno”, di una fase in cui non si dovranno scandire slogan ma mostrare risultati. Purtroppo molti cubani attendono una “soluzione biologica”, che potrebbe venire con la fine della vita di chi detiene potere. Nessuno può evitare la morte, ma come un grande Saturno che ha mangiato i suoi figli, il nostro sistema non lascerà dietro sé una generazione impregnata delle sue idee e determinata ad andare avanti su quella strada. Stiamo vivendo la fine di un’epoca. Posso solo sperare che il periodo successivo sia più attento alle necessità dei cittadini e che potremo contare sulla solidarietà degli Stati Uniti e del resto del mondo. Obama e il paese che rappresenta, può svolgere un ruolo molto importante in questa apertura di Cuba alla democrazia, ma deve farlo senza interferire con la nostra sovranità e le nostre decisioni. Il 2010 potrebbe essere l’anno decisivo per celebrare una nuova amicizia tra i due paesi. Per quanto mi riguarda, vorrei che accadesse presto. Aprile mi sembra un buon momento per annunciare la primavera e dopo tutto aprile non dovrebbe essere sempre il mese più crudele.

 

Orlando Luis Pardo Lazo

Traduzione di Gordiano Lupi


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