Sono nello studio di Kengiro Azuma, uno stanzone buio e polveroso alla periferia nord di Milano. Non vuole un’intervista, «ho difficoltà con la lingua» mi dice, ma inizia a raccontarmi la sua vita.
Ho davanti un uomo di 80 anni, giapponese, che dall’età di 30 anni si trasferisce a Milano, studia l’Arte occidentale con Marino Marini all’Accademia di Brera e qui rimane facendo scultura tutta la vita. «A 18 anni ero kamikaze dell’Aviazione e la bomba atomica mi salvò la vita, finì la guerra poco prima della missione suicida». «Mi crollò il mondo dei valori, credevo che l’Imperatore fosse un dio invincibile, la sofferenza e il vuoto furono terribili. Pensai di morire, ma l’incontro con l’Arte mi salvò. Iniziai a modellare con mio nonno, scultore artigiano di statue e campane, mi iscrissi all’Istituto d’Arte di Tokio, vinsi una borsa di studio e venni prima in Francia dove studiai i grandi scultori Maillol e Rodin, poi definitivamente in Italia». Mi accende una lampadina polverosa e lo stanzone si anima di forme. Osservo le opere, mi colpiscono profondamente per la loro particolarità e unicità. «Ogni tanto vado in crisi perché non so dare senso al vuoto, ma il vuoto per magia si anima e diventa un pieno». «Nel vuoto si annida lo spirito, cioè l’essenza delle cose e delle persone e rappresenta ciò che niente può annullare a differenza del pieno che il tempo corrode e distrugge». Bello, commovente quello che mi dice, sono ammutolito davanti alla grande capacità di dare volume, profondità, forza a un piano apparentemente bidimensionale. Sento nelle sue cose il ritmo dell’universo che scorre senza sosta attraverso il tempo eterno e lo spazio infinito. Sono forme che conquistano lo spazio, lo vivono entrando in profondità nell’enigma della vita, dando consistenza ai pieni e i vuoti in una dialettica ininterrotta. Piccoli crateri, lacerazioni, danno il senso magico dell’equilibrio precario del flusso vitale.
«Per scaldarmi bruciavo nella stufa le cassette dell’Ortomercato, me le regalavano in quantità. Una notte mi alzai per attizzare il fuoco ma mi caddero dalle braccia le tavolette. Fu una folgorazione, quei pezzetti di legno a terra costituivano un insieme di straordinaria bellezza per leggerezza e ritmo. Corsi a prendere il gesso, lo impastai con l’acqua e lo versai sulle tavolette. Il mattino dopo andai a sollevare l’opera che risultò proprio come l’avevo immaginata. Fu quello per me un momento decisivo per una nuova vita, trovavo la mia strada, le mie radici, la leggerezza, il ritmo, ma anche la casualità che va accolta e sublimata. Marino Marini la vide e fu più felice di me per questa scoperta, mi accordò la sua più totale fiducia e amicizia assumendomi in modo definitivo come suo assistente». Iniziano così la serie dei bassorilievi che saranno fondamentali nelle ricerche successive sul tridimensionale.
Guardo un uomo di 80 anni che con entusiasmo e freschezza si piega, muove, rotea imponenti sculture, le mette in equilibrio con cunei e tasselli di legno. Mi guarda e nota la mia commozione.
Che dire d’altro, questo uomo integro ha saputo mediare, conciliare, accordare con naturalezza il vuoto, la leggerezza e semplicità d’Oriente con il pieno, il pesante e il complesso d’Occidente. Un uomo che fa crescere le sue forme senza forzare nulla con un atteggiamento zen di meditazione, acquietamento e concentrazione, e il segreto della loro bellezza sta nel magico equilibrio di pieno e vuoto, lucido e opaco, liscio e ruvido.
È notte, nel ritorno attraversavo la città in un traffico assordante, fra odori asfissianti e grandi cartelloni pubblicitari di merci e facce di politici illuminati a giorno. Pensavo ad Azuma, guardavo altrove, in alto, e lo stordimento nauseante svaniva.
7 marzo 2006
p.s. – Ho rivisto Azuma due settimane dopo per avere immagini delle sue opere da pubblicare. Mi ha regalato sette cataloghi bellissimi e abbiamo parlato per altre due ore spiegandomi il senso di ogni mostra, soprattutto le grandi sculture ambientali nel Palazzo Besta di Teglio e in una cava di marmo nei pressi di Vienna, colme di poesia e mistero.
Anch’io gli ho donato due miei cataloghi, li ha guardati attentamente e mi ha chiesto di venire a visitare il mio studio e vedere dal vivo la mia ricerca.
Comunicare e scambiare idee con Azuma mi ha arricchito e reso felice.
Roberto Plevano
(da 'l Gazetin, dicembre 2009)