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Gianfranco Cercone. “Io, loro e Lara” di Carlo Verdone: una commedia cattolica
27 Gennaio 2010
   

Un luogo comune vuole che la commedia sia sottovalutata dalla critica cinematografica. Ora: la commedia non è un genere minore; ha classici esempi, teatrali e cinematografici, talmente noti che non è nemmeno il caso di ricordarli. Ma c’è commedia e commedia. E anche in quel sottogenere, tanto prolifico e longevo, che è la commedia all’italiana, esistono fortissimi dislivelli qualitativi, che la critica è tenuta a riconoscere.

Alla commedia all’italiana appartiene certamente l’ultimo film di Carlo Verdone: Io, loro e Lara. Sta ottenendo in questi giorni un grande successo di pubblico, e il plauso di una parte almeno della critica. Eppure, a mio parere, non è tra i più brillanti esempi del genere. E cercherò di dimostrare perché.

 

Uno dei procedimenti tipici della commedia è la deformazione caricaturale dei personaggi. Un difetto – che sia l’avarizia, che sia la vanità, che sia la petulanza – non resta soltanto un elemento della loro personalità, ma diventa la loro ossessione dominante, tanto da dar luogo a dei tipi: l’Avaro, il Vanaglorioso, il Brontolone, e così via.

Ma si sa che una buona caricatura, malgrado la deformazione, mantiene ben riconoscibile il soggetto raffigurato, che anzi dovrebbe balzare ai nostri occhi, per così dire, più vero del vero. Il personaggio, pur semplificato, dovrebbe mantenere quel tanto di complessità e di contraddizioni, che ci ricordino che, dopo tutto, è un essere umano.

Ora, il film di Verdone, come è giusto, fa largo impiego di caricature. Ma sono caricature così elementari e marchiane, che non lasciano nessuna sensazione di verità. Prendiamo, ad esempio, uno dei personaggi comprimari: una psicanalista.

È così presentata: una ragazza distesa sul lettino, nel suo studio, le confessa piangente di aver dato fuoco alle tende del suo salotto, e poi anche a sua madre. Ma lei non si scompone: quel giorno è nervosa per ragioni personali; l’ora della seduta è terminata; e così, malgrado quella dichiarazione madornale, congeda la paziente con quattro parole sbrigative.

Verdone vuol dirci che quella psicanalista, oltreché cinica, è malata di nervi più ancora dei suoi pazienti. Lo spunto non è decisamente inedito. Ma quel che è grave è che viene “spiattellato” senza la minima finezza. E a me non sembra pedestre osservare che una dottoressa così schiettamente disinteressata ai suoi pazienti, non può esistere, se non altro perché li avrebbe già persi tutti da un pezzo.

È soltanto un esempio, tra i numerosi che il film potrebbe fornire. In Io, loro e Lara c’è un’assistente sociale, a prima vista rigorosa, ma che perde la testa in modo ridicolo quando si invaghisce di un prete; un bancario cocainomane, che tira su col naso ogni minuto, e lascia sbuffi di polvere bianca sui risvolti dell’abito; un anziano che si sposa con la giovane badante, agghindandosi con un parrucchino ridicolo e colto da una incoercibile frenesia sessuale.

Insomma, il film è un carosello di maschere, nelle quali non si ritrova mai quel gusto dell’osservazione psicologica, magari perfida, ma sottile, che è dei buoni autori di caricature.

Eppure nel passato Verdone, soprattutto nei personaggi interpretati da lui stesso, un talento di caricaturista lo aveva dimostrato. Come mai questa volta tanta approssimazione?

 

Una ragione forse c’è. Ed è che la libera osservazione degli altri è stata sostituita da un’ideologia, sia pure rudimentale.

Il protagonista del film è un prete in crisi, appena tornato dalla sua missione in Africa. Le autorità ecclesiastiche gli suggeriscono saggiamente di riunirsi per qualche tempo alla sua famiglia. E qui scopre i congiunti in preda ai demoni del sesso, del denaro e della droga. Cinici ed egoisti, e allo stesso tempo esauriti e disperati. In tanto buio, l’unico barlume di luce è Lara, una giovane moldava; che, è vero, si esibisce nuda su Internet, ma coltiva almeno un sogno “giusto”: riunirsi con suo figlio, al momento affidato ai servizi sociali, e inserirsi in una famiglia vera, calda e solidale.

Alla fine, il prete si riconcilia con la propria vocazione, e torna felice alla sua missione in Africa, in un mondo più povero, ma moralmente più sano. Insomma, l’ideologia del film è inequivocabilmente cattolica. Ne dico male per questo? Nient’affatto. Il cinema italiano e non solo, ha anche una alta tradizione cattolica. Un nome per tutti, fulgido: Federico Fellini.

Ma come c’è commedia e commedia, c’è cattolicesimo e cattolicesimo. E nel film di Verdone, alla grossolanità della forma corrisponde la grossolanità del contenuto.

 

Gianfranco Cercone

(da Notizie radicali, 26 gennaio 2010)


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