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Maria G. Di Rienzo. Donne migranti invisibili
26 Gennaio 2010
   

Il titolo dice tutto, giusto? Pertanto cominciamo dall'invisibile. Si tratta di una categoria che il genere femminile conosce approfonditamente. Fathia Fikri, 43 anni, è stata invisibile per tutta la sua vita. Innanzitutto era un'immigrata dal Marocco, e si sa che in Italia meno gli immigrati si fanno vedere e meglio è (Rosarno docet). Poi, colmo dei colmi, Fathia non è andata al “Grande Fratello”, non è stata coinvolta in scontri pseudo cultural-etnici con la Santanchè di turno, non è stata ripresa da telecamere durante una retata antiprostituzione o lo sgombero di una baraccopoli. Così, chi poteva accorgersi che Fathia esisteva?

Adesso (10 gennaio 2010) ha smesso di esistere e si è guadagnata un trafiletto sui giornali, ma solo per il giorno del ritrovamento del cadavere, ed è ritornata nel limbo prescritto alle donne reali entro pochissime ore. Fathia stava male, ma non ha voluto andare dal medico per paura di perdere il lavoro. L'hanno trovata distesa accanto al letto, il viso insanguinato, la figlioletta di cinque anni al suo fianco, a vegliarla. Probabilmente è svenuta e caduta, ed ha battuto il volto sul pavimento procurandosi la ferita. La bimba pensava che la mamma stesse dormendo.

Fathia Fikri lavorava in una cooperativa, pulizie: uno di quei lavori che, così mi dicono da circa dieci anni, “gli italiani non vogliono più fare”. Come la raccolta stagionale di ortaggi e frutta, come il laboratorio (tessili, scarpe, ecc.) con orari e tipi di produzione da paleolitico pre-sindacale, come l'assistenza a malati, anziani, disabili, bimbi, eccetera eccetera. Viziati, 'sti italiani. Fermo restando che io conosco di persona italianissimi individui coinvolti in tutte le attività summenzionate, fermo restando che, ahimè e guarda te il caso, il 99% di questi individui sono di sesso femminile, continuo a non aver risposte alle domande di una decade fa: “Ma perché qualcuno deve accettare di lavorare in condizioni vergognose, per quattro palanche, senza garanzie, senza diritti, senza uno straccio di soddisfazione? Chi l'ha detto che questi lavori devono avere per forza le caratteristiche della schiavitù? Perché non mettiamo questo, in discussione?”.

Un'altra invisibile è la madre di Ashlin. Originaria del Salvador, è emigrata in Italia per poter dar da mangiare a questa bimba di tre anni, lasciata a vivere con i nonni. «Ci vogliono circa 60 euro al mese per comprare il latte ad Ashlin», spiega sua madre. Anche costei svolge i lavori che gli italiani eccetera, naturalmente non in regola, naturalmente senza che nessuno veda la sua fatica e il suo tormento, e prende il classico calcio nel didietro ad insindacabile decisione del “datore di lavoro” (chi impiega schiavi oggi si chiama così, ai miei tempi si diceva “delinquente” o qualcosa del genere). «Permettimi di essere onesta con te. Per le donne, e specialmente per le giovani, è difficile avere un lavoro da 'clandestine' senza dover sottostare a qualche forma di ricatto sessuale. È il motivo per cui ho perso due volte il posto».

Adesso la madre di Ashlin è infatti per strada, lavoro senza sesso con il capo per il momento non ce n'è e non ci sono neanche i 60 euro. Il padre della bambina è nel frattempo emigrato negli Usa. «Grazie a quello che manda a casa lui, Ashlin e i nonni riescono ancora a mangiare». Finché dura perché, come sua moglie, è un immigrato “illegale”.

Non riesco a capire quando la società che mi circonda ha deciso, accettato, che tutto questo è normale, parte della vita quotidiana, neppure da discutere. Ma so perché queste donne non si vedono. Devono restare invisibili perché resti invisibile l'ammontare di violenze che subiscono di routine, nelle strade e nei posti di lavoro, deve restare invisibile la brutale violazione dei loro fondamentali diritti umani sancita ormai a livello di legge. Chi ha emanato le nuove leggi razziali in Italia teme che, se queste donne reali le si vede e le si ascolta, sorgano dubbi nell'elettorato meno imbevuto di balle rai-mediaset e ciò non deve assolutamente accadere. Pertanto ministri e deputati ci forniscono ogni giorno i “due minuti d'odio” orwelliani: Troppa tolleranza! Basta con il buonismo! Padroni a casa nostra! Fermiamo gli sbarchi, spariamo sui barconi!

E le donne che ci fanno vedere nei loro programmi televisivi, griffate o seminude, non parlano mai e ridono sempre. Chissà di cosa, con i tempi che corrono.

 

Maria G. Di Rienzo

(da Telegrammi della nonviolenza in cammino, 26 gennaio 2010)


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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