Ieri sera è andato di scena l’ennesimo derby della Madonnina. E come sempre accade da 102 anni a questa parte, oggi c’è chi ride e chi piange, in città (e non solo). Ma non è di calcio che voglio parlare. Bensì di quella mappa geo-calcistica di Milano che si può disegnare proprio grazie alla stracittadina più prestigiosa d’Italia. Tanti e insospettati, infatti, sono i luoghi dove noi passiamo senza sapere che proprio lì si è fermata la storia del derby, e quindi di Milano stessa.
In via Fratelli Bronzetti, ad esempio, l’Inter vinse il suo primo derby a due anni dalla nascita: era il 1910, e il 5-0 non lasciò adito a discussioni. E in Ripa Ticinese, dove si trovava il primo campo dei neroazzurri (d’estate infestato dalle zanzare), ancora adesso abita Angelo Franzosi, portiere dell’indimenticabile 6-5 interista del 1949: dopo 19’ il Milan conduceva 4-1, e gli svedesi in maglia rossonera ebbero forse pietà. Ma il derby è una partita che non finisce mai, e rimonta storica fu.
In un altro stadio dell’Inter, sito in via Goldoni 61, il 2 maggio 1915 si disputò invece l’ultima stracittadina prima della Grande Guerra: molti dei suoi protagonisti, come l’interista Virgilio Fossati o il centravanti rossonero Brevedan, non sarebbero più tornati dal fronte.
Anche all’Arena napoleonica, l’ultima “casa” dei neroazzurri, furono moltissime le sfide meneghine che si consumarono: tra le tante, ricordiamo uno spettacolare 5-4 per i neroazzurri nel 1932. E quel gol in maglia rossonera (!) dell’interista per eccellenza, Giuseppe Meazza, nel 1941: proprio quell’anno il “balilla” era stato venduto al Milan, e a 7’ dalla fine realizzò un 2-2 che lo costrinse ad uscire da una porta secondaria per sfuggire all’ira dei suoi ex tifosi bauscia. Con cui, in seguito, si riappacificò.
In via Vincenzo Monti nacquero i Cevenini, che detengono il record per il numero di fratelli che hanno disputato un derby: addirittura cinque, e tutti in casacca neroazzurra, per una partita del 1921 disputata in viale Lombardia e terminata 1-1. Tre di loro, però con la maglia rossonera, furono anche tra i protagonisti del punteggio con maggior divario tra le due squadre: un 8-1 che il Milan rifilò ai cugini nel 1918 al Velodromo Sempione nella finale-spareggio della Coppa Giovanni Mauro.
Prima di approdare alla periferica San Siro, il Milan giocò anche in via Andrea Doria, al Trotter, e in piazzale Susa, all’Acquabella. Dopo di che Piero Pirelli, erede del primo presidente rossonero, quell’Edwards di cui i milanisti chiedono attualmente la presenza al famedio del Monumentale, decise che era ora di trovare uno stadio definitivo. E San Siro fu, inaugurato proprio da un derby (finito 6-3 per l’Inter) nel 1926 e dal gol, ovviamente, di un… santo: Santagostino, il centravanti del Milan. Poteva essere diversamente?
Al Policlinico venne portato d’urgenza il giocatore milanista Laich vittima di un infortunio: correva il 1909, e il derby venne addirittura sospeso. Altri tempi, sotto una Madonnina che nel 1993 apparve addirittura nella curva dell’Inter: finì 1-1 con una rete di Gullit negli ultimi minuti, e sulla panchina neroazzurra sedeva l’Osvaldo Bagnoli della Bovisa, quartiere storico della periferia milanese. Al pari di quella Lambrate da cui partì il giovane Franco Loi una mattina del giugno 1945, con obiettivo San Siro e il primo derby dopo la guerra giocato per un Torneo Benefico Lombardo: finì 3-1 per il Milan, e il resoconto in versi (meneghini) dell’incontro lo potete leggere ne “L’Angel”.
Un Loi di cui si è molto parlato in questi giorni, e che ben ha rappresentato l’anima casciavitt della città, in quanto appartenente a quel popolo “di speranza” che abitava le periferie e si contrapponeva socialmente e geograficamente agli interisti, benestanti e spesso risedenti all’interno della cerchia dei Navigli. “Sono diventato tifoso del Milan perché non sopportavo la spocchia degli interisti”, ha affermato Franco, che -pur non avendo mai lavorato in fabbrica- apparteneva idealmente a quella classe operaia che è stata l’anima di Milano per decenni con i suoi valori legati alla serietà del lavoro, all’onestà. Scomparsa lei, la città ha perso buona parte della sua identità, senza riuscire a trovarne un’altra, almeno per ora. E insieme alla fine di quel mondo, sono pure diventate più sfumate le differenze fra tifosi neroazzurri e rossoneri.
Ma Franco Loi è anche un grande poeta, e di questo non ci si deve stupire. Perché la passione per il football è sempre stata una passione trasversale, che ha contagiato le classi popolari ma anche gli intellettuali: Saba, Alfonso Gatto, Arpino, Vasco Pratolini, Mario Soldati, Raboni, Giovanni Giudici, Cucchi, Milo De Angelis. Senza scordare, ovviamente, Pasolini e Vittorio Sereni, tra l’altro grande tifoso interista. E questo elenco, che si limita ai confini italiani, potrebbe essere ancora più lungo a dimostrazione di come il calcio abbia affascinato tutti con le sue emozioni, i suoi casi umani, le sue storie infinite. Soprattutto, quello di qualche decennio fa, a cui vi ho solo accennato in queste poche righe. Ma che vi invito ad andare a scoprire. Salùdi.
Mauro Raimondi