Partenza: Rifugio Erler (m 1420)
Itinerario automobilistico: Da Sondrio prendere la Strada Panoramica in direzione Teglio. Si passano Montagna, Poggiridenti e Tresivio. Giunti a Ponte, alla chiesetta di San Gregorio, svoltare a sinistra per Teglio, quindi, dopo una breve salita, seguire la strada sulla a sinistra per la Val Fontana. Si prosegue sempre sulla medesima inoltrandosi nella valle. Dopo il ponte di Premelè si passa sul lato idrografico sx della valle. Alcuni tornanti asfaltati conducono al guado nei pressi del rifugio Erler , dove si lascia la macchina (circa 40').
Itinerario sintetico: Rifugio Erler – Selva – Alpe Basalone (m 16 29) – Alpe Vicima (m 2133) – Cima di Vicima (m 3122) per versante S e cresta ESE.
Tempo di percorrenza previsto: 10 ore per l'intero giro.
Attrezzatura richiesta: Scarponi, ramponi, corda, piccozze. Si consigliano ciaspole/sci se l'innevamento è ancora consistente.
Difficoltà / dislivello in salita: 4 su 6, 1702 metri in salita.
Condizioni trovate il 10 marzo 2007: Neve da quota 1700. Caldo e neve instabile. Valanghe.
Dettagli: PD: tratti su ghiaccio e neve molto ripidi. Creste esposte, passaggi su roccia (III), marcato pericolo slavine.
Bilancio:
Itinerario
Capolinea e maggiore elevazione dello spartiacque fra Val Molina e Val Vicima, punto d'incontro fra questo e la dorsale che unisce la Vetta di Ron e il Painale, la Cima di Vicima (m 3122) è definita da Saglio in Bernina «vetta di scarso interesse alpinistico», ma «punto trigonometrico di grande importanza». Nella descrizione delle vie d'accesso, la considerazione che la Cima di Vicima può essere facilmente raggiunta per cresta dal passo di Vicima prova che chi ha schedato questa montagna non l'abbia mai salita e l'abbia totalmente sottovalutata. La via venduta dal Saglio come “via normale” non è assolutamente percorribile interamente. Infatti, dopo aver faticosamente guadagnato la Punta Bianca, la bella anticima meridionale della Cima di Vicima, l'alpinista si trova dinnanzi una voragine inattaccabile che impedisce di proseguire fino alla vetta principale. E così non potrà firmare il libro di vetta che oggi abbiamo installato lassù!
La vera “normale” corre sul versante S, quindi, dopo un ripido colatoio, sbuca ad un intaglio sulla cresta ESE e prosegue grossomodo per la linea spartiacque fino alla cima.
L'ascesa invernale è ostacolata dalle forti pendenze, nonché poco prudente per l'esposizione alle valanghe. Va perciò effettuata solo con poca neve o neve assestatissima, e devo dire, col senno di poi, che noi oggi l'abbiamo rischiata grossa!
Si è trattato di pochi metri, di una coincidenza fortuita che m'ha fatto cambiar strada all'ultimo istante, che mi ha fatto optare per un tracciato d'arrampicata inusuale proprio un attimo prima che si staccasse un'immensa slavina sulla via normale.
18 marzo 2007
Mario è rimasto intrappolato sotto il peso delle lenzuola e della fatiche di ieri sulla Brutana, così oggi siamo solo io e Vitto.
Selva alle 8:30 del mattino non è ancora all'ombra. Un vento umido e fresco scende da N. Superate le pasture a O delle baite, l'aria si placa. I primi abeti annunciano il ponte di legno che attraversa il torrente e porta sulla dx idrografica. Saliamo paralleli alla valle. Poca strada nel bosco e siamo già all'Alpe Basalone, una baita e un casèl del furmacc ancora in buono stato. I tetti non sono più in pietra, ma onduline metalliche. I muri amalgamati con del cemento e non a secco, ma d'insieme fanno buona figura. Qualche pirla ha abbattuto le porte condannando le baite a morte rapida. È tutto abbandonato: nessuno più carica la Val Vicima. L'anno scorso non c'erano nemmeno le capre. Si potrebbe accomodare queste strutture come rifugi sempre aperti. Già, proprio come hanno fatto i cacciatori in Val Malgina, all'alpe d'Aida, all'alpe Forame. Qualche cosa sul modello della Cederna, per di più qui siamo vicini alla carrozzabile e anche l'escursionista più larva ce la farebbe a salire (m 1629, ore 0:30).
Qualche tornante fra gli alberi e si sbuca su altri pascoli. Il sole è bollente e, tanto per cambiare, finisco in mutande. Seguiamo gli ometti di sasso. Prima della pietraia che ricopre il versante meridionale della bassa Val Vicima, il sentiero si porta sulla sx idrografica e serpeggia su un ripido pratone. La traccia guada quindi un rivolo d'acqua e prosegue a O fra erbe e muffole. Incontriamo la nuova fontana con vasca in pietra e ugello in legno e rame, una cattedrale nel deserto inaugurata nel 2006, veramente troppo bella per non essere sfruttata. Pochi metri e il bianco ricopre tutto. Mettiamo le ciaspole e raggiungiamo la piana dell'alpe Vicima (m 2133, ore 1).
Le baite sono sommerse dalla neve, perciò ci passiamo sopra. Pianeggiamo a ponente fino al colle che ostruisce centralmente la valle e lo aggiriamo in senso orario. La neve è marcia, piuttosto che delle simpatiche impronte ci lasciamo alle spalle una profonda trincea. Vitto va giù più di me, problema tecnico o di dieta?
L'alta Val Vicima è un susseguirsi di dossoni e depressioni. Longitudinalmente si sviluppa una dorsale che risparmia molti su e giù, è la linea dell'elitario sentiero estivo (elitario perché siamo in pochi ad avere idea dove sia). Aggirata sulla sx la larga gola che deprime il versante settentrionale della valle, ci troviamo su un piccolo catino morenico alle pendici orientali del Passo di Vicima. Seguitiamo a N e, dopo una breve scarpata, raggiungiamo un sassone ai piedi delle bastionate dell'anticima E della Cima di Vicima (m 2750, ore 1:30).
Non possiamo che rimanere affascinati dal profilo della Punta Bianca e dalla strana unghia di roccia che spunta sotto la sua cima. Poi il possente versante E di Vetta e Cima di Ron, una prospettiva completamente inusuale, per usare le parole di Vitto.
C'è una pace inverosimile quando, improvvisamente, un colpo di frusta. Ci guardiamo attorno, quasi spaventati. “Là. Sulla Vetta. Guarda!”.
Una slavina si è appena staccata sotto la croce della Vetta di Ron e s'è incuneata in un grosso imbuto. Dove questo si strozza per precipitare in Val Vicima, la valanga sfocia come un'imponente cascata di neve. Lo sfogo dura quasi un minuto.
“Ieri alle 5 di pomeriggio ero lassù con Mario”, aggiungo perplesso. Poi torna il silenzio.
Ci portiamo al centro della scarpata meridionale della Cima di Vicima, un ampio vallone detritico che fa capo a Punta Bianca, Cima di Vicima e all'anticima E della stessa. Lo risaliamo nel mezzo fino alla fascia rocciosa che lo conclude.
Quindi si deve vincere un pericoloso colatoio che culmina ad un intaglio sulla cresta fra il testone roccioso della cima di Vicima e l'anticima E. Noi lo facciamo appoggiandoci alle placche rocciose sulla dx per evitare le slavine che potrebbero cadere sia dal canale, sia dai lisci pianerottoli che strapiombano dalla fortezza a sx. Tale via è molto più laboriosa della salita diretta, ma un po' più sicura. Ramponi ai piedi cavalchiamo il breve colletto nevoso che riveste l'intaglio (m 3050 ca, ore 1).
Davanti a noi le pendici orientali della montagna e la desolata Val Molina. Il colletto prosegue su una lama di rocce non facili e che va in qualche modo aggirata. Alcune rampe di neve risalgono fin sotto la vetta, sembrano la soluzione dell'ascesa, ma la copertura è marcia. Appena mi sposto sul versante settentrionale dello spartiacque affondo fino alla vita. Indietreggio e mi riporto all'ombra della cresta E della Cima di Vicima. Per neve cerco d'aggirare la prima prominenza della cresta, per poi risalirvi poco più a O. Vitto mi osserva perplesso tacchettare la farina che orla le rocce. Tento l'assalto al filo per la prima finestra utile, 30 metri sopra il colletto, ma nulla da fare: la neve non tiene. Torno alla base, al sole dell'intaglio. Vitto dice che per lui è forse troppo difficile, io non provo neppure a biasimarlo perché so che non avrei alcun modo per fargli sicurezza.
Però in cima voglio arrivarci! Prendo fiato, mi guardo in giro e elaboro tutte le alternative. Quel canalone centrale meno inclinato degli altri, anche se ostico da raggiungere, sembra di nuovo la scelta migliore.
Comunico a Vitto che andrò di lì, poi svuoto lo zaino delle cose inutili, prendo la scatola col libro di vetta e parto.
Sono combattuto, indeciso. “Il canalone della normale l'ho già fatto, guarda che bella la cresta, quella si che è da figo!”, mi suggerisce il mio diavoletto personale. “Non andare a rischiare come un pirla!”, ribatte l'angioletto.
E a chi avrò dato retta?
Col superpotere datomi da due piccozze, ribatto le orme appena fatte e m'intestardisco nel voler conquistare quella maledetta finestra di roccia. Finisce la mia traccia, pendenze sostenutissime, due metri di neve mi separano dal solido sasso. Levo i guanti, scavo un altro metro di trincea piana e getto la mano destra in una sottile crepa. I piedi affondano di colpo, ma ora nessuno può più farmi cadere. Mi volto faccia alla roccia e di cattiveria emergo sul sottile spartiacque rossiccio. Il mio cuore rallenta, rimetto i guanti e mi levo la neve dalle mutande. Poi guardo alla mia sx. Il mio cuore accelera di nuovo: sono in testa a uno di quei maledetti ripiani inclinati che scaricano valanghe nel canalone da cui siamo saliti. Se metto male un piede è finita. Poi alzo un poco il capo e riprendo tranquillità: dopo questi 20 metri esposti ci saranno solo caminetti e cenge riparati.
Concentratissimo mi lascio alle spalle i precipizi e mi nascondo nel primo camino, poi, come chi ha appena scampato un grosso pericolo, mi volto all'indietro e cerco di non pensare a come tornerò di lì. Volto il capo a N e scruto con rimpianto il docile canalone che ho evitato per mera ambizione.
“Crack!!!” Un rumore cupo, quasi un ramo che si spezza. Poi il suono si ripete abbassato d'un'ottava. La testa del rimpianto canale s'arriccia come la fronte d'un vecchio e una discreta massa nevosa inizia a scivolare verso il basso. È un attimo e la neve bagnatissima urla come il vento fra gli alberi. La slavina assume in breve proporzioni eclatanti e trascina a valle mezza montagna, poi si convoglia in un canalone, fa uno spettacolare salto su una bastionata rocciosa e si spegne con un delta gigantesco 800 metri più in basso del punto di distacco.
Il sangue mi si gela nelle vene. Non vedo Vitto, per cui lui non mi può vedere. Penserà che la valanga m'ha spazzato via.
“Vittooooo, avevo cambiato ideaaaa! Ho fatto un'altra strada! Sono in cresta” urlo io. L'eco è un timido “Va bene”. Non so più che dire, non so più che pensare. Avrei dovuto esser là, esser proprio sulla traiettoria della morte, e mi ritrovo qui al sicuro su delle tiepide rocce. Qualcuno ha guardato giù.
Arrivare in vetta è facile: due roccette e una dolce groppa di sassi e neve. Abbraccio l'ometto (m 3122, ore 0:20).
Inizio subito ad edificare a S di questo il palazzo che dovrà custodire la scatola dei biscotti danesi al burro della LIDL con il libro di vetta. Mi tremano le mani e la costruzione viene uno schifo di 40 cm, ma spero funzionale. Firmo il libro per entrambi, mangio una banana e scendo. Non riesco nemmeno a gustarmi appieno il grandioso paesaggio, il mio angioletto mi voleva mandare a morire! Mi sento miraculato.
Sono da Vitto alle 15:10.
Mi guarda come un fantasma, ma forse lo sono veramente.
“Devo bere qualcosa”, gli spiego, non mi viene in mente altro da dire. “Se vuoi ho un pezzo di grana”, mi risponde. Capisco che non ci siamo con la testa. Parliamo dell'accaduto più come due geologi interessati al fenomeno, che come due che ci sono quasi rimasti sotto, ma almeno così smorziamo la tensione. Poi discutiamo qualche istante sul tracciato da seguire.
Per schivare ogni possibilità d'ulteriori valanghe, prendiamo vie illogiche e molto più rischiose. Passa mezz'ora e ci ritroviamo su dei roccioni a strapiombo. Mi faccio passare la nivofobia e riprendo il controllo della situazione: “Seguimi e vedrai come si evitano le slavine!”.
Mi riaccentro nel canale sotto il colletto, proprio dove Vitto voleva non passare, mi giro faccia a valle, culo a terra e mi lascio trasportare dalla gravità. Vitto si rincuora e mi segue a ruota.
Gli sguardi fissi si tramutano i sorrisi e in un attimo siamo fuori pericolo, almeno fino al prossimo fine settimana!
Enrico Benedetti