Domani, 20 gennaio, alle ore 21 presso il Teatro Franco Parenti di via Pier Lombardo 14, verrà presentato Da bambino il cielo (Garzanti), l’autobiografia del grande poeta Franco Loi (che il giorno seguente compirà ottant’anni).
Un libro che ho avuto il piacere e l’onore di curare, e che è, innanzitutto, il frutto dell’incontro tra una persona a cui piace molto ascoltare (il sottoscritto) e un’altra che ha davvero tantissimo da raccontare e lo fa splendidamente. Delle doti con cui Franco mi affascinò fin dalla mia prima visita, quando andai nella sua casa sulla circonvallazione per chiedergli la prefazione al mio CentoMilano – La città raccontata dai suoi libri, un volume in cui avevo raccolto cento tra i testi più belli scritti sulla metropoli.
Come tutti, lo conoscevo solo di fama, e all’inizio ero un po’ timoroso: il carattere delle persone famose e degli artisti, si sa, lascia spesso a desiderare… Ma già dopo la mia prima frase, “Io non scrivo poesie…” (la stessa che in seguito venni a sapere lui aveva rivolto anni addietro a Sereni), le paure svanirono, perché lui mi rispose un sorriso gentile, comprensivo, che mi sciolse. Con molta attenzione ascoltò il contenuto del mio libro e subito accettò, senza titubanza alcuna, la mia richiesta. Quindi mi domandò quale sua opera avessi inserito, ed io gli mostrai un brano de “L’Angel” (quello che comincia con «Che dì, ragassi! In de per tutt balera!»), chiedendogli poi della Milano del dopoguerra, un argomento che, da storico, mi ha sempre interessato molto. E fu a quel punto che scattò la scintilla, perché lui cominciò a descriverla con una tale passione che quel flusso di ricordi e aneddoti sia personali sia sui grandi avvenimenti storici mi incantò. Ascoltandolo, il mio tempo si fermò, tanto che quel giorno arrivai a scuola con mezz’ora di ritardo. Una situazione che si ripeté la volta successiva che mi recai da lui: bastò una mia domanda sui suoi genitori, che Franco estrasse dal cilindro della memoria una Genova inedita, quella Colorno dove da piccolo trascorreva le vacanze. E le sue immagini erano talmente belle, le sue storie così interessanti e originali, che mi venne spontaneo chiedergli se avesse mai pensato di raccoglierle in una biografia: il nostro legame era nato.
Il progetto cominciò nell’agosto successivo (era il 2007): rammento con enorme piacere il mio “rito” della metropolitana fino a Sant’Ambrogio, l’attesa della 50, l’arrivo a casa sua alle 15 in punto. Parlavamo fino alle 19 e poi, di notte, sbobinavo. Già a settembre la prima stesura del libro era pronta, e pure il titolo provvisorio, “Ti dirò, Noventa”, ispirato ad una sua opera (ed a un suo sogno). Ma non ci trovammo completamente d’accordo: Loi, infatti, gradiva la struttura che avevo dato al testo, la commistione fra storia personale e poesia che lo caratterizzava, ma non il mio desiderio di sintesi. Io, infatti, per dare risalto ad alcune parti che consideravo più importanti, avevo omesso dei particolari dei suoi racconti, delle precisazioni che invece Franco voleva che venissero inserite. Inoltre, come mi diceva spesso, mentre raccontava riemergevano dalla sua memoria altre persone e avvenimenti che desiderava aggiungere.
La sua successiva revisione ha portato al titolo attuale e ad una stesura più ampia in cui è comunque evidente l’incontro tra un poeta e uno storico. Perché, ovviamente, nel testo si trova tantissima poesia: Dante, Leopardi, il significato che Loi dà alla sua arte. Ci sono la sua scelta di scrivere in milanese, i suoi incontri con i grandi autori del Novecento, e questa passione viene perfettamente mostrata nel dvd allegato al testo, tratto appunto da un’intensa conversazione tra Franco e Marco Manzoni (che mi ha ricordato le interviste a Raimon Panikkar).
Ma Da bambino il cielo è anche un testo di Storia, dove si legge dell’antifascismo di una famiglia qualunque durante la dittatura, dello scoppio della guerra con il vivido ricordo della dichiarazione sentita per le strade di Milano tra sguardi non trionfanti ma attoniti. E poi ci sono i bombardamenti, i morti di piazzale Loreto del 1944 (alcuni dei quali Franco conosceva personalmente), il 25 aprile 1945. Un dopoguerra che porta con sé la disillusione di un ragazzo che vede sfumare, con l’andar del tempo, i suoi ideali. E poi la Milano del boom, il ’68, un piccolo ricordo di quel maledetto 12 dicembre ’69, immagini che scorrono nella pagine grazie alla testimonianza sempre fresca di un Loi che mantenne una posizione dialettica, spesso critica, nei confronti della sinistra e un totale distacco dal terrorismo. Anche se la diversità di vedute con Curcio (che Franco conobbe personalmente) e la folle strategia delle B.R., non gli impedirono di finire addirittura in prigione, a Venezia, in quanto accusato di essere tra i capi di un’organizzazione filo terrorista.
Un avvenimento kafkiano che tocca livelli di epicità (ma anche di assurdità) degni di un grande romanzo. Del resto, la vita di Loi è un’affascinante avventura che noi abbiamo descritto mischiando la “grande storia” (basti osservare l’indice dei nomi che conclude il testo, ricchissimo di persone celebri che Franco ha frequentato, da Don Milani a Vittorini) alla microstoria, alle vicende personali da cui emergono quegli amici (come Sergio Temolo) che tanto, per lui, hanno rappresentato.
Per concludere, però, voglio anche dire che Da bambino il cielo è anche e soprattutto il risultato dell’incontro tra due persone tra cui è corso e corre un affetto profondo. Un sentimento che porterò sempre con me e che, al di là dell’importanza letteraria e storica del libro, è il regalo più importante che mi ha dato la conoscenza di Franco. Salùdi.
Mauro Raimondi