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Piero Welby, il Calibano 
«I piedi bruciati di pinocchio sono la metafora dell’handicap»
13 Gennaio 2010
   

Valter Vecellio (a cura di)

Piero Welby, il Calibano

Stampa alternativa, 2004

 

«Il realismo è la rabbia di Calibano che si riconosce nello specchio. Il simbolismo è la rabbia di Calibano che non si riconosce nello specchio». Oscar Wilde

 

Leggo questo libriccino che non amo chiamare plaquette oggi che Piero Welby è nella nostra vita proprio perché «morire è anche un processo d’apprendimento, non è solo cadere in uno stato d’incoscienza», come scrive nelle pagine con cui distrae la vita e la morte “shakerate” da un frequente umorismo che altro non è se non l’attesa del superamento del dramma personale e sociale, rivelandone l’attenzione ingannevole di ipocrisia condotta in un procedere che ha sempre meno la specularità degli altri, rigonfia di tanti egotismi imbalsamati allo specchio senza rivelazioni e ipotesi di ricerca. Welby crea un caleidoscopio e lo muove con la leggerezza – triste delle parole che infilano le pagine e ne costituiscono un magico collante tra sorriso e pianto. Shakespeare nell’atto 3° de La Tempesta dedica proprio a Calibano (nome con cui Piero Welby si firma) uno dei monologhi più poetici, “I cried to dream again...”, e mi piace pensare che sia stata una scelta ponderata quella che segna le pagine del diario, un atteggiamento dove il sublime rivela l’orribile «tutto ciò che è terribile, o che riguarda oggetti terribili, tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, è una fonte del sublime» (Edmond Burke).

Rita Bernardini e Valter Vecellio introducono il testo e curano le parole con una sovraesposizione emotiva che arriva diretta al lettore.

La Bernardini scrive: «affetto da una grave forma di sclerosi multipla di tipo degenerativo Piergiorgio ha raccontato e racconta se stesso attraverso una curiosità sorprendente per tutto ciò che lo circonda, tanto che a volte c’è da rimanere increduli al pensiero che egli sia un così convinto e accanito sostenitore della dolce morte».

Valter Vecellio: «Parla a bassa voce, Marco. Chissà cosa gli dice, cosa gli racconta. Luca sorride. Ad un certo punto la enorme mano di Pannella finisce stretta tra le gambe di Luca, che le stringe forte. Il modo per dire grazie a quell’uomo grande e grosso…». Da Luca a Piero per una malattia crudele che li ha aggrediti e costretti a vivere ostacolati da tutto e tutti anche da chi dolosamente si appella a vuoti significati della sacralità della vita.

Un panorama politico, sociale e umano sembra fare da scheletrico paesaggio alla sorte di chi lotta per non sopravvivere “tragicamente” e proprio chi soffre sembra donare alla vita un contorno umano.

«Signor Presidente le chiedo… conceda all’anno dell’handicappato i tempi supplementari e dichiari il 2004 anno di recupero per i disabili»

«il mondo gira sempre allo stesso modo. Proibite proibite, qualche cosa resterà: un biscotto anti-stress, una cioccolata dopata, un latte alla Timoty Leary»

«Sto per spegnere la televisione, non sono uno che ama il sangue, non sono uno di quelli che butta l’olio sulle curve di Maranello, né mi fermo in autostrada per godermi gli incidenti, ma se il velo nelle scuole non è un problema allora perché farci una trasmissione?»

Critica che corrode sono le pagine sul dubbio di fronte a certezze che confermate sembrano stabilire e confermare i parametri dell’idiozia se il dubbio concesso deve essere associato alla sofferenza «ma sui problemi dell’esistenza non si può parlare con senso e pertanto bisogna tacere».

«scusi ma lei dove scende? Al Vaticano? Vabbè come non detto… scendo alla prossima». E dopo «Geppetto dovrebbe essere arrestato! Consapevolmente o meno, ha violato almeno due articoli della legge 1514 sulla PMA. È un single, ed è ricorso alla clonazione riproduttiva (ha clonato Pinocchio da un tronco d’albero)» il diario si svolge con questo seguire attentamente tutto quello che avviene nel mondo, denunciarne quasi con un sorriso le falle e le mancanze e i debiti enormi.

E nella ironia mai assente, la problematica del disabile appare per contrasto ancora più lacerante. Si sottolineano le leggi “stanche” d’attenzione rispetto alla cultura a tutti dovuta e a tempo illimitato; queste pagine diventano uno dei tratti più incisivi e doloranti del diario.

Il disabile sembra destinato ad una fornitura di libri scuola che “disponibile” provvede di testi gli ipovedenti e che sospende la donazione, finito il corso di studio mentre tutto il resto dei disabili, quelli che non possono camminare, che hanno e soffrono di altre gravissime patologie sembrano ancor più condannati ad una realtà che non possono distrarre neanche con la lettura, lo studio, le informazioni, unico contatto spesso con il mondo esterno «l’ordine immutabile del divenire rende impossibile il divenire» e Beppino Englaro nella sua dignità senza limiti appare inizialmente solo nelle trasmissioni mattutine (tra pulizie e suonatori di campanelli). Passano, poco attenzionate, le notizie di suicidi di malati terminali in attesa del dibattito serale sul grande fratello, i diavoli, Don Mazzi e Vespa. Nelle parole del coraggioso Calibano il riconoscimento della «poetica compassione» dei radicali per le battaglie sulla libertà, intensivo forte e che ho avvertito empatico alla “libertà e al rispetto” lontani dalla politica corrente ma indissolubilmente legati all’uomo e all’umanità, chiamato a vivere e a scegliere anche di morire.

 

Patrizia Garofalo

 

 

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