Sono d'accordo ad ampliare la zona del Matüsc anche perché è palese che non è una 'esclusiva' di bariloc'. Però non diciamo 'a tutta la Valtellina' (alla Bitto Dop con quello che ne è conseguito), diciamo 'nelle valli orobiche dove si faceva' e non facciamo torto a nessuno. Dove non si faceva Matusc si facevano altre cose e, se hanno voglia, i locali le possono rilanciare.
C'era una volta in cui non esisteva il 'Casera' ma diversi formaggi con la loro individualità: in Alta Valle, in Valchiavanna ecc. Tra cui il Matüsc. Quindi ben venga un suo rilancio, non solo ad Albaredo, per salvare i maggenghi (il poco che ne rimane). I piccoli che fanno 'Casera' dovrebbero tornare a fare i prodotti delle loro tradizione e così sarà più chiaro che il Casera è un prodotto standardizzato fatto con foraggi in buona misura non valtellinesi in grosse latterie simil-industriali. Per l'assorbimento dei prodotti di nicchia non si deve poi pensare ai soliti canali, ma a 'mercatini contadini' e GAS che che non sono scoraggiati dalla scarsa omogeneità e discontinuità dell'offerta.
Quanto al Matusc di Delebio lasciamo stare (non cambia se è fatto ad Albaredo visto che la Latteria Alpi del Bitto è l'appendice della casa madre). È come lo Scimudin di Delebio, la Semuda di Delebio, la Magnuca di Delebio. Fatta a Delebio o nelle 'succursali' poco cambia. È il modo di 'snaturare' dei prodotti replicandoli in forme semi-industriali e togliendoli l'anima. L'operazione è sempre la stessa: trovi una latteria in difficoltà, un sindaco, una Comunità Montana che non capiscono o non vogliono capire cosa significhi omologazione e 'globalizzazione regionale'... e la latteria di Delebio – ma così fanno anche altre realtà analoghe sparse per le Alpi – si impossessa delle denominazioni storiche. Nel complesso le ricadute sul territorio sono modeste, molto inferiori a quelle che si otterrebbero valorizzando i prodotti tradizionali dove sono nati mantenendo tecniche artigianali.
Michele Corti