IL CONTESTO
Il fallimento di una società è, in una qualche misura, accadimento fisiologico, anche se drammatico: tra tante che vanno bene o che comunque sopravvivono, alcune purtroppo non ce la fanno.
E così, a tutela dei creditori interviene lo Stato. Il Tribunale nomina un “curatore” con il compito di realizzare il realizzabile, distribuire il ricavato ai creditori e, finite le risorse, chiudere il fallimento. Viene nominato un Giudice Delegato che vigila sull’operato del curatore, un comitato dei creditori che controlla l’operato di entrambi e al Tribunale viene assegnato il compito di supervisione.
Se il fallito è una società, il fallimento si estende anche ai soci. I loro familiari (genitori, coniugi e figli) restano indenni (o, quantomeno, così dovrebbero restare).
La nostra ignoranza in materia ci ha portato a fare una analisi terra-terra sulla Legge Fallimentare (anno 1942): ecco cosa abbiamo scoperto.
Regola numero uno. La gestione del fallimento della società (patrimonio, incassi, pagamenti) deve essere rigorosamente tenuta distinta da quella dei fallimenti dei singoli soci.
Regola numero due. Chi gestisce il fallimento deve pagare i creditori in tempi rapidi, per limitare i danni di chi già troppi ne ha subiti.
Se avete un credito di 100 vi mangerete le mani quando saprete di non poter realizzare più di 40, diverrete autentiche belve quando si ridurranno a 15, finirete per azzannarvi da soli le parti più intime quando scoprirete che il frutto di anni di triboli non basterà a pagare avvocati e professionisti che per tanti lustri si sono occupati del vostro credito.
IL FATTO
Nel caso che stiamo esaminando, finiti i soldi, il curatore, per continuare la gestione del fallimento ha chiesto di essere autorizzato a contrarre un prestito di 20.000 € con la banca, e che Banca!! Nientemeno che la Banca Popolare di Sondrio, Presidente del comitato dei creditori.
Il prestito, spiega il curatore, verrà accreditato su un conto corrente a nome dei fallimenti personali di Gianoncelli Franco e Peppino, dove vengono fatti transitare tutti i pagamenti indistintamente, «per pagare i legali e i loro domiciliatari, le spese per l’esecuzione immobiliare per la vendita dei beni immobili di proprietà di Gianoncelli Patrizia (legale, perito estimatore, professionista delegato, spese di pubblicità); una volta venduto gli immobili verranno effettuati i conteggi precisi per il riaddebito delle somme di pertinenza dei singoli fallimenti».
Dovremmo a questo punto aprire una parentesi per narrare il coinvolgimento di parenti (figli dei falliti e madre, tutti estranei al fallimento) mediante cause intentate dal curatore, costate un’enormità e che per brevità vi risparmiamo (ma vi invitiamo a cliccare “caso Gianoncelli” in internet, per sbirciare in un girone infernale che vi farà esclamare: tutto questo non può essere vero!).
Basterà qui rilevare che, anche per pagare queste spese (circa 37.000 €) il curatore ha pignorato l’appartamento di una figlia, Gianoncelli Patrizia (valore € 121.000) e si sta ora intaccando il patrimonio personale di Gianoncelli Marinella (altra figlia).
Di questo caso, “fallimento Gianoncelli”, si è già occupata la Cassazione Civile, che con sentenza del 17/11/01, faceva a pezzi (si fa per dire) il piano di riparto 1999 del curatore dott. Marco Cottica, approvato dal Giudice Delegato. A proposito della necessità di tenere distinti i patrimoni affermava che «…la commistione indebita tra i fallimenti è illegittima a fronte del disposto del c. 2° dell’art. 148 l.f. che impone, proprio a tutela dei creditori appartenenti alle diverse categorie (creditori delle società e creditori personali dei soci illimitatamente responsabili) il mantenimento della separazione e distinzione (non soltanto delle procedure ma anche) degli stati passivi e delle masse attive e passive (sentenza n. 5776 del 1996) onde nessuna valutazione, di supposta ed invero non configurabile necessità o anche soltanto di utilità ed opportunità, può giustificare l’utilizzazione di somme costituenti la massa attiva di una procedura (…) per operazioni (…) inerenti alla o alle altre procedure».
Le rettifiche della Cassazione (il piano di riparto è stato adeguato alla sentenza 17/11/01) non sono mai state pagate.
IL COMMENTO
Il curatore si è trovato in difficoltà tale da aver dovuto mestamente confessare al giudice delegato dott. Fabrizio Fanfarillo: «Il sottoscritto non ravvisa soluzione diversa da quella prospettata per poter continuare nella gestione del fallimento».
Azzardiamo un’ipotesi (opinione soggettiva, ben s’intende). E se invece di promuovere così tante cause nei confronti di chi non è mai stato coinvolto nel fallimento, il curatore avesse distribuito i pochi soldini ai creditori? In quel caso si sarebbero risparmiati onorari, perizie, spese di causa, e via discorrendo. I creditori avrebbero visti pagati (tanto o poco) i loro crediti, mentre ai bistrattati eredi sarebbero stati risparmiate cause, appelli, ricorsi e tanta, tantissima sofferenza.
Forse il curatore, per le spese legali, avrebbe potuto ascoltare il consiglio del giudice: «visto, manda al Curatore di valutare l’ipotesi di attivare l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato».
Le cifre che seguono evidenziano chi dai fallimenti prende e chi perde. I dati sono quelli risultanti dal fascicolo dei fallimenti (fino a pag. 785).
Il lettore ha di che stupirsi: al 24/07/2008, a fronte di entrate dei fallimenti (Gianoncelli s.n.c. - Gianoncelli F. - Gianoncelli P. - Gianoncelli B.) per € 188.008 e spese per € 182.241, sono stati pagati € 36.151 ai creditori ed € 146.090 per spese di procedura, di cui: spese per cause (avv. Nicola Marchi € 56.734; avv. Daniele Schena € 39.373; altri legali € 14.906); compensi al curatore Dr Marco Cottica € 10.856; spese varie € 24.220.
E non è finita.
Giuliano Ghilotti
(da 'l Gazetin, dicembre 2009)