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Guido Hauser: Per un’ortodonzia dell’arte, Dialogo interdentale
24 Dicembre 2009
 

Leggere, studiare, andare a teatro e nei musei … Mmmh, il problema secondo me è un altro.

E quale, secondo te non è giusto promuovere l’arte, la cultura?

Sì, certo. Ma con quale buona ragione potresti convincermi ad andare a teatro, mettiamo?

Non so, a me andare a teatro piace, mi fa stare bene e intanto imparo delle cose…

Sei sicuro che le cose che fanno stare bene te, quelle che tu impari andando a vedere l'ultimo spettacolo in cartellone, abbiano un qualche valore generale, che possano far star bene anche me?

Boh, no, non ho detto questo … Però sono cultura.

Ecco, vediamo allora cosa è, questa cultura.

Io credo che la cultura sia qualche cosa che non è solo mia, che è un po' di tutti.

Sì, sono abbastanza d'accordo. Nel senso che si distingue dalla biografia proprio perché è un insieme di conoscenze condivise, scambiate.

E per te questo scambio di conoscenze non è un valore?

Assolutamente sì. Ma io trovo che il valore sia nello scambio, nel gesto. Non più nelle conoscenze, che sono diventate inservibili.

Inservibili, la cultura è inservibile?!

Ho esagerato, lo ammetto. Era un paradosso. Ma perché qualcosa comunemente serva, è necessario che possieda anche un obiettivo comune. Un'utilità, per così dire.

E tu non trovi che la cultura sia utile?

No, ma non è nemmeno inutile. È questo il guaio.

Parliamone…

L’utilità è un concetto che riguarda le azioni, i gesti, cioè gli effetti tangibili dentro il mondo. E in che modo io faccio esperienza del mondo?

Beh, con la vista, lo sguardo…

Sì, certo. E poi con il tatto, il gusto, l’odorato, l’udito… Insomma con i sensi, che sono il tramite tra mondo e corpo.

Mi stai dicendo che una cosa è utile se il corpo ne ha vantaggio?

In un certo senso. O meglio se tramite il corpo io sperimento un vantaggio.

Che secondo te non ha però nessun valore generale...

Non l’ha più, l’ha avuta e ora non ce l’ha più. Adesso è solamente il corpo individuale che può orientarsi, stare a galla tra le cose. Quello sociale è come se avesse atrofizzato i collegamenti nervosi.

Corpo sociale, corpo individuale…

Ti faccio un esempio: il mal di denti, hai presente il mal di denti?

Il mal di denti, sì.

I denti hanno lo smalto, la dentina; più sotto le gengive, la polpa e quindi i nervi, che portano al cervello.

Non me ne parlare, domani mattina devo andare dal dentista.

E perché domani vai dal dentista, posso chiedertelo?

Perché mi fanno male i denti, è chiaro.

Sì, è chiaro. Ma perché altre volte ti alzi per andare ad un museo, in una libreria… Cos’è che ti fa male?

Prosegui, mi intriga.

Io penso che le società, un tempo, funzionavano come il mal di denti: tutto era collegato. Così quando a uno faceva male un premolare - non prendermi in parola - tutti quanti si legavano uno straccio di lana attorno alle mascelle.

Beh, anche adesso se c’è un disagio economico, mettiamo, una crisi finanziaria, vengono erogati fondi, si mettono in moto i politici e le banche centrali. E’ anche questo una specie di mal di denti collettivo.

Mi sembra un po’ ottimistica la tua visione, però in un certo senso convengo. Ma quando fanno male i capelli?

I capelli?!!

I capelli, sì. È una brutta battuta di Monica Vitti in un brutto film di Antonioni.

Credo di capire dove vuoi arrivare. Un dolore che non sai bene da dove venga: diffuso, tenace, indefinito.

Quando una comunità sperimentava questo dolore, indistinto quanto reale, la trama dei suoi nervi mandava il segnale al cervello, che attivava subito qualcosa come un sistema immunitario collettivo.

E da cosa era formato ciò che tu chiami un sistema immunitario collettivo?

Dall'arte, la cultura. Con gli artisti che facevano la parte dei globuli rossi.

...!

...

Mi stai dicendo che l’arte era una specie di pronto soccorso?

Sì, o se preferisci un farmaco, un sistema organizzato di gesti che serviva, in quell'epoca nemmeno troppo lontana, a tutto ciò per cui niente può servire.

Accidenti, sei su di metafora oggi! E l'arte, la cultura, vuoi dire che da sole si smazzavano tutto questo bel lavoro?

Non da sole, le aiutava la teologia. In un certo senso la teologia era il mandante, lo sfondo.

I fermenti lattici intestinali?

Bella immagine, lo vedi che inizi a seguirmi.

Già, in effetti la teologia funziona molto bene per le gengive, specie l'Inquisizione…

Dai, non scherzare: guarda che ti ricordo il rumore del trapano, domattina non devi vedere qualcuno…

Il dentista, no, per carità!

Eppure quando una persona esce dallo studio del dentista è come più leggera, facci caso: l’espressione è simile a quella di uno che esca da uno spettacolo, dopo aver assistito a un capolavoro.

È vero, hai ragione, non ci avevo mai pensato!

Ma perché allora un sacco di gente esce con una faccia un po’ così, frastornata, dopo aver visitato una mostra di arte contemporanea?

Forse perché l’artista non è riuscito a centrare il dente giusto, ha trapanato a vuoto.

Sì, bravo, forse. O forse perché l’arte contemporanea ha perduto il suo ruolo di farmaco, non corrisponde più a un impulso nervoso della comunità.

Ti seguo e non ti seguo…

...

Mi viene in mente la famosa poesia di Baudelaire su quell'uccello, come si chiama...

Albatros.

L'albatros, già. Ma a questo punto chi ha ragione: l’artista-albatros o il bonario qualunquismo di Alberto Sordi, sai quel film in cui la moglie viene scambiata per un’istallazione alla Biennale, e finisce tutto con una gigantesca spaghettata?

Io penso che abbiano ragione entrambi, ma anche torto.

Ragione, torto?

Questa società è immedicabile dall’arte, si sono interrotte le terminazioni nervose che la legavano ai suoi artisti, i mal di denti ora sono personali. Ci sono diverse ragioni per cui è successo, ma è successo.

E come posso dire, allora, se e un opera d’arte è bella oppure brutta? A quale categoria generale posso agganciare il mio giudizio: se non più ai denti, ai capelli, a cosa…?

Beh, ad esempio l’arte, ora, adesso, può servire a ricordarti che hai dei denti, che possiedi dei capelli…

Fermo fermo fermo!

Intendo dire che l’arte non può più curare nessuna ferita, ma può ricordarti che la tua ferita è un po’ più estesa del tuo corpo, che oltre il tuo corpo ce ne sta un altro più grande. Solo che il tessuto nervoso è addormentato e non lo puoi sentire.

Dici che fanno la coda per questo, le coppiette domenica pomeriggio di fronte all'ennesima mostra sugli impressionisti: per risvegliare una superfetazione del corpo, l’emergere dei denti del giudizio?

Temo di no, ho paura che questo sia perlopiù turismo culturale, una rilassante scampagnata artistica.

Me lo spieghi?

Io la vedo così. A molti l’arte serve semplicemente per svagarsi, non per entrare dentro l'officina del corpo, se così posso dire. Si attraversano i corridoi di un museo come planando sopra a un campo di margherite.

Un aliante a motore spento.

Un aliante, sì.

E si sorvola per dimenticarsi di avere un corpo, è questo che vuoi dire?

Già, l'arte, al suo peggio, ha questo effetto: scorpora, alleggerisce dal peso delle cose; o almeno dà questa illusione.

Ma è proprio il contrario di quello che dovrebbe fare la “grande arte”: collegare, connettere, far percepire.

E collegando nella consapevolezza, trasformare. È da lì che veniva il medicamento: dalla trasformazione.

Trasformare dentro questo corpo più ampio, più esteso, se ho capito bene. Trasformare come nell'alchimia.

L'alchimia, bravissimo!

Allora il turismo culturale è davvero fuori strada: invece di dargli una bella sveglia, è come se tagliasse le terminazioni nervose. Liberasse il palloncino.

Esatto, credo anch'io che sia così. Ma dimenticare non significa rendere libero, piuttosto non sentire.

Come si fa a dimenticarsi di avere un corpo?

Basta continuare a sorvolare il mondo senza più dolore né cura, alla maniera di una mappa.

Ma l'arte diventa così un semplice ornamento da esibire con un bel sorriso, una lucida chiostra di denti che non morda né faccia male.

Sì, un sorriso, un dentifricio, qualcosa come, come...

Ho capito, come una dentiera!

 

Guido Hauser


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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