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Alberto Figliolia. "A Serious Man" dei Fratelli Coen
22 Dicembre 2009
 

Accogli con semplicità tutto ciò che ti succede, Rashi (acronimo di Rabbi Shlomo Yitzhaqi, rabbino medioevale di Troyes e commentatore della Bibbia)

Quando scopri che la verità è un cumulo di bugie/ E la gioia dentro di te muore..., Jefferson Airplane (surrealisticpsichedelicrock)


La faccina sorride, film da vedere.

Fino a dove può giungere la sopportazione di un uomo quando la quotidianità precipita con un rovinoso stillicidio? E la presenza di Dio nella propria vita perché si manifesta soprattutto con l'assenza, l'indifferenza o nelle forme dell'assurdo? A Serious Man è il nuovo film della premiata ditta Joel & Ethan Coen e, come sempre, è difficile da inquadrare: una commedia nera? Una commedia tout court? Un perfetto esercizio stilistico di macabro umorismo? Un'amara e comica riflessione sul tranquillo Mid West americano del 1967 – magnificamente ricostruito nella finzione della pellicola –, sotto la dilagante cascata della musica dei Jefferson Airplane e le abitudini/tic della comunità ebraica?

«Quelli del film sono ebrei delle pianure ed è questo che volevamo portare sullo schermo poiché si tratta di una cultura, di un mondo e di sentimenti totalmente diversi da quelli delle comunità ebraiche di New York o di Los Angeles», ha dichiarato Ethan Coen.

«Volevamo coinvolgere il più possibile la comunità locale e tutti i leader religiosi che abbiamo contattato si sono dimostrati tutti ben disposti e dotati di senso dell'umorismo... Dal nostro punto di vista A Serious Man guarda in maniera molto affettuosa la comunità ebraica ed è un film che metterà in luce alcuni aspetti del giudaismo che generalmente non si vedono», ha ribadito Joel.

Il film ha tracce esilaranti e oniriche, dialoghi brillantissimi, e il protagonista Larry Gopnik – interpretato da un bravissimo Michael Stuhlbarg, noto ai frequentatori di teatri newyorkesi –, professore universitario di matematica e fisica (non di ruolo ancora), si muove, quasi inconsapevole, spaesato di sicuro, rotte le fragili certezze di partenza, come un non protagonista nelle scene della propria vita (“Esistono infinite maniere per tormentare un adulto”, un commento ben centrato), la famiglia in disgregazione: la moglie Judith che lo vuole lasciare per un uomo più vecchio ma, a suo dire, più risoluto; il figlio Danny, cannaiolo perduto; la figlia Sarah la cui principale preoccupazione è quella di rifarsi il naso; un fratello, semifolle e semigeniale, che trascina i sui giorni fra bagno, divano, forsennati calcoli e disegni su un misterioso e consunto taccuino e una stranissima macchina di sua invenzione.

Fra colloqui con rabbini e avvocati, lacrime e antenne televisive che non captano, una banconota da 20 dollari fonte di tanti guai, citazioni cinefile da parodia (secondo noi, Il Laureato), cerimonie religiose e storielle – a proposito, il film si apre con un apologo in yiddish ambientato in uno shtetl (tipico villaggio ebraico) polacco sotto la neve, con la comparsa di un presunto dybbuk, vale a dire l'anima di un defunto che tenta di impossessarsi di una persona viva –, lo studente coreano che tenta di corrompere il professore (fantasmagoriche le conversazioni fra Larry, lo studente e il di lui azzimato genitore), formidabili dubbi e tragiche casualità, fra farsa e ricerca, la vicenda si dipana sino al consueto finale spiazzante (non ci si abituerà mai) che il duo fraterno riesce invariabilmente a confezionare.

«In A Serious Man, succedono cose belle e cose brutte e tante cose non hanno una spiegazione. Larry vuole scoprire cosa è andato storto e vuole vedere se ha fatto qualcosa di moralmente sbagliato per poter rimediare e non essere più così infelice. Ma in realtà non è che abbia sbagliato così tanto. Ha semplicemente vissuto», dice Fred Melamed, il quale veste i panni di Sy Ableman, uomo provvisto di una paradossale gentilezza e di una grande e in qualche modo ottusa intelligenza, il rivale in amore di Larry.

Il fatto è che si riesce a ridere in questo film anche quando uno infarta violaceo, anche quando il dramma ti travolge. Poi ti tocca pensarci su, pensare alla tua reazione, e ammettere, sì, che l'uomo è davvero uno strano animale. Anche quando reputa di avere il conforto della fede in Hashem (il Nome, termine di base ebraico utilizzato per Dio) e la corazza dell'onestà morale e intellettuale, egli è indifeso, salvo, forse, il filtro dell'ironia e dell'autoironia sul proprio cagionevole passaggio nei giorni del mondo.


Alberto Figliolia


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