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Paolo Brondi: La mia immagine… che tengo in soffitta. 7ª Epistola
18 Dicembre 2009
 

Credo che il mio affetto sia assai poco affidante anche perché non riesco a vivere nel presente e naufragare nell’attimo contentandomi. Sono un tipo molto complicato.  Oscillo tra amore della regolarità, delle radici, delle abitudini che mi danno certezza e sicurezza e slanci e scelte che tendo immediatamente a smorzare, smarrita nell’immaginazione degli effetti. Vivo e mi guardo vivere: mi guardo con gli occhi degli altri e mi faccio schifo per queste romanticherie post nietzschiane che suscitano la mia più corrosiva ironia ma che mi appartengono. Sono molto possessiva ed esclusivista e mi irrita fino a mandarmi in crisi derogare per prima a questa condizione, riservandomi spazi per fantasie sentimentali ideologiche quando non tollero nelle persone che amo evasioni anche solo immaginarie. Vivo giorni di isolamento in montagna e ti scrivo di getto cose comunque pensate e ripensate , dopo solitarie passeggiate mattutine,attese, ripensamenti e ancora attese. Adesso passeranno alcuni giorni prima che ci si possa sentire. Per questo, anche se con fatica, mi sono decisa a scriverti per dirti quello che per cellulare, appena sento la tua voce, non riesco a comunicarti. Credo che il cellulare non sia il mezzo a me più congeniale, troppo tortuoso il percorso dei miei pensieri e sentimenti per scandirlo con i tasti di tale strumento. Non presumere comunque che la tortuosità denunciata sia sintomatica di profondità. Credo anzi che sia la spia più fastidiosa della superficialità del mio modo di essere e pensare. E non si tratta di un bilancio volutamente in nero per suscitare la reazione opposta su chi lo legge. Si tratta proprio della mia immagine, quella che tengo in soffitta, ma che sono costretta a guardare e riconoscere ogniqualvolta voglio essere sincera con me stessa. Spero di non averti fatto troppo male e di non essermi fatta e continuare a farmi male. Certamente ci rivedremo e ti penso.


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