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Renato Ciaponi. Bitto: l'Onaf da che parte sta
12 Dicembre 2009
 

Mi hanno chiesto: “Ma l’ONAF provinciale da che parte sta?”

Ho risposto prontamente, senza esitazione: “Dalla parte della qualità”.

Dalla parte della qualità, sia se prodotta nelle valli del Bitto, sia se prodotta nelle valli di Cancano.

E le modifiche apportate al disciplinare appena approvato vanno sicuramente in questa direzione, permettendo di definire e salvaguardare di più l’alta qualità della grande tradizione casearia valtellinese.

In una generale appiattimento dei riconoscimenti spesso troppo generici ci fa sicuramente piacere la modifica del disciplinare del Bitto che codifica la possibilità di produrre un formaggio di qualità riconoscendolo con una marchiatura particolare.


Il nuovo disciplinare di produzione del Bitto, infatti, dice: «Per i produttori che, nel rispetto del disciplinare di produzione, alimentano le bovine lattifere esclusivamente con erba di pascolo degli alpeggi dell’area delimitata all’art. 2 senza aggiunta alcuna di integratori, fatta eccezione che per il sale pastorizio e un’alimentazione di solo soccorso a base di fieno di prato stabile non superiore al 20%, che non utilizzano fermenti durante il processo di caseificazione e che iniziano la lavorazione del latte entro trenta minuti dalla fine della mungitura, è ammessa la marchiatura che indica il nome dell’alpeggio in cui il formaggio è stato prodotto».


Non mi sembra poco.

Il fatto poi che il disciplinare consenta «l’utilizzo di fermenti autoctoni che valorizzino la microflora casearia spontanea» non va sicuramente visto come un fatto negativo ma come possibilità di migliorare il processo di caseificazione, ridurre l’incidenza di difetti.

E ancora, consentire «una integrazione dell’alimentazione da pascolo, fissata nei limiti massimi di kg 3 di sostanza secca al giorno, con i seguenti alimenti: mais, orzo, frumento, soia, melasso nella quantità non superiore al 3%» va sicuramente nella direzione di permettere di monticare bestiame le cui caratteristiche genetiche sono notevolmente mutate nel tempo.


Il futuro continuo caricamento degli alpeggi della nostra provincia, necessario per il presidio, la salvaguardia e la manutenzione delle nostre montagne si potrà avere solo se metteremo in condizioni i caricatori di poter monticare bovine geneticamente diverse dalla tradizionale Bruna Alpina e soprattutto se permetteremo ai casari di utilizzare una tecnologia casearia che consenta loro di produrre un formaggio con pochi difetti che potranno vendere ad un presso per loro remunerativo.

I riconoscimenti europei per i prodotti di montagna devono essere letti anche in questa ottica: mantenere gli agricoltori sul territorio.

La presenza nelle nostre produzioni agricole di numerose DOP, IGP, DOC, DOCG ha sicuramente permesso di mantenere un sistema agricolo che anche attraverso un cambio generazionale nel settore ha creato le condizioni per il rilancio enogastronomico della provincia e in tutto questo processo di trasformazione economica del nostro territorio il Bitto ha sicuramente avuto un ruolo importante.


E allora, nel dibattito su Bitto, l’Onaf non può fare a meno di schierarsi dalla parte di chi ha lavorato per avere la Dop di Bitto e Valtellina Casera, di chi ha capito che solo l’allargamento della zona di produzione avrebbe portato alla valorizzazione del prodotto e del territorio.

Nessuno disconosce che la zona storica del Bitto è quella compresa dalle valli attraversate dal torrente omonimo, ma non si può dimenticare che in quel lontano 1994 le indicazioni delle politiche agricole per avere i riconoscimenti nazionali riguardanti le denominazioni erano l’allargamento più ampio possibile delle zone di produzioni e che questo concetto fu chiaramente espresso dalla dottoressa Adinolfi durante l’audizione presso la camera di commercio per il riconoscimento della denominazione d’origine controllata dei formaggi Casera e Bitto.

Le caratteristiche organolettiche, in particolare gli odori e gli aromi dei prodotti ottenuti con le tradizionali tecniche di produzione, da latte ottenuto da animali che si nutrono in modo particolare, sono sicuramente maggiori; e siamo proprio noi, assaggiatori dell’ONAF a ricercarle, a valorizzarle, a farle scoprire ai consumatori.

Il nuovo disciplinare di produzione del Bitto permette e valorizza chi produce con tecniche di produzioni particolari attraverso una marchiatura che indica il nome dell’alpeggio in cui il formaggio è stato prodotto. (Si potrebbe forse pensare di aggiungere al nome dell’alpeggio anche quello della valle, per esempio Alpe Trona-Valli del Bitto)

E allora, se veramente in tutti gli alpeggi delle valli del Bitto non si usano mangimi, non si usano fermenti, si aggiunge anche il latte di capra… i consumatori saranno ben felici di sapere che il Bitto di Bomino o il Bitto di Trona è ancora prodotto come una volta, sapranno riconoscerne ed apprezzarne le caratteristiche, saranno disposti a pagarlo di più, saranno curiosi di vedere come viene prodotto quel formaggio e magari si organizzeranno per una visita.

Ma le tecniche particolari, la mancanza di utilizzazione di mangimi e di fermenti, il lavorare il latte entro 30 minuti dalla mungitura non può essere una prerogativa degli alpeggi delle Valli del Bitto, deve diventare un’occasione anche per altri caricatori che pur non appartenendo alla storia più autentica del Bitto oggi possono essere in grado di produrre un formaggio che ha le stesse caratteristiche, perpetuando una tradizione casearia che tende ad essere dimenticata.


Renato Ciaponi

delegato provinciale Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggio


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