Non è la prima volta che il Nobel per la pace fa un po' di scandalo: del resto anche altri Nobel non sono stati sempre attendibili, basta leggere Le antenate di Rita Levi Montalcini e ricordare storiche “dimenticanze” rispetto a scienziate o politiche, la stessa Bertha von Suttner, segretaria di Nobel e inventrice del premio che naturalmente porta il nome del suo “capo”. Il Nobel è del resto un premio dato da una istituzione accademico-politica, che tiene conto (questa volta un po' troppo) delle convenienze generali.
Obama non lo nasconde, in ciò migliore, almeno moralmente, di altri suoi predecessori un po' troppo “furbi”. Vediamo come argomenta, abilmente, dato che è un grande oratore, ma debolmente, poiché le sue fonti sono nella tradizione giuridica classica senza alcuna correzione o innovazione nemmeno prospettata. Nel diritto internazionale esiste una ricca produzione che riguarda la guerra, a partire dalla sua definizione: “la guerra è il conflitto interstatale armato”, ma non esiste una definizione giuridica di “pace”. Dopo la definizione, il diritto internazionale dice come la guerra deve essere dichiarata condotta ecc.: ad esempio gli USA poterono entrare in modo giuridicamente “giusto” nella seconda guerra mondiale perché il Giappone attaccò e affondò la flotta USA a Pearl Harbour prima di consegnare la dichiarazione di guerra a Washington. Sembra che Obama si rifaccia a quel precedente per “giustificare” l'invasione dell'Afghanistan, dopo l'attentato alle Torri gemelle, ma il ragionamento mi pare debole e improprio.
Torniamo alle definizioni generali: non esiste -si diceva- una definizione di diritto positivo di “pace”; della guerra si dice che cosa è, come deve essere dichiarata, se è di aggressione o di difesa, se rispetta la popolazione civile, come deve trattare i prigionieri di guerra ecc. La parola “pace” compare solo nella locuzione “Trattato di pace”, che conclude dopo l'armistizio, cioè la deposizione delle armi, qualsiasi guerra “giusta” o “ingiusta” che possa essere giuridicamente definita. Tutto ciò induce pericolosamente l'idea che chi vince “fa la pace”, invece chi vince “sancisce la vittoria”, e vittoria e pace non sono affatto la stessa cosa, si può vincere anche una guerra giuridicamente ingiusta. E la vittoria non la fa diventare giuridicamente “giusta”.
Continuiamo con la sommaria analisi, qui avviata. Esistono pure i codici militari di pace e di guerra nei quali, contro l'affermazione di principio che il diritto deve essere uno e certo, si accetta l'idea che alcune azioni sono criminose in tempo di pace e giuste in tempo di guerra: la più clamorosa duplicità giuridica è che in alcuni codici militari e nella tradizione bellica lo stupro delle donne del vinto è lecito (fin dalle guerre omeriche).
Nel lungo cammino per uscire dalla plurimillenaria barbarie della guerra, un passo fondamentale è la Carta delle N.U., che afferma essere la guerra “sempre un crimine”. Da qui, specialmente dall'Europa, dovrebbe partire una ridiscussione di diritto internazionale, a cominciare dalla definizione giuridica positiva di “pace”, che potrebbe essere: “pace è governo nonviolento dei conflitti”.
Tutto ciò suggerisce un percorso -almeno mentale- alternativo: vale la pena -almeno- di avviarlo.
Lidia Menapace