Ci sono luoghi favoriti dalla sorte (con semi innumerevoli di alveari del tempo), che non dimenticano chi erano (per sapere sempre chi sono e chi saranno).
Quei luoghi accolgono il rombo della storia e si fanno grembo-gestazione per i mille volti della cultura (concepiti dagli echi-sovrapposizioni dei passaggi ripetuti e continuati del tempo pellegrino…). Este, la bella Este (quella che sorge sulle pendici Sud dei colli Euganei e che dista circa tre decine di km da Padova e un paio da Rovigo) è uno di detti luoghi. Parlo della Este dalle ‘memorie’ fascinose e dalle parentele storiche ‘eccellenti’ (che ha saputo/ sa farsi ‘presenza’ geografica antica e giovane allo stesso tempo e, comunque e sempre, up to date). Gli arcaici Veneti l’hanno abitata (età del ferro) e i Romani se ne sono innamorati (III/ II secolo a. C. -quando, insieme a tutto il Veneto, divenne colonia romana), tanto da concederle (89 a. C.- lex Pompeia) il diritto latino e, poi, il diritto romano (49 a. C.- quando Cesare, in guerra con Pompeo, avendo bisogno di popolarità, estese il diritto romano a tutta la Gallia Cisalpina, di cui era stato proconsole tra il 58 e il 49).
Este (oltre a essere città) è una ‘nozione’ appartenente all’inconscio collettivo, come tutto ciò che si studia e che si pensa di dimenticare (e che, invece, si seppellisce nei meandri profondi della memoria inconsapevole).
L’antico agro di Este (Galzignano/ Noventa Vicentina/ Teolo/ Lonigo/ Trecenta/ Monselice/ Pernumia e il monte Venda), parte della Gallia Cisalpina, fu, per volere di Ottaviano Augusto, base logistica e ‘casa’ delle leggendarie legioni romane (V e XI), in seguito alla cruenta battaglia che concluse la guerra tra Ottaviano e Marco Antonio (Azio -2 Settembre, 31 a.C.), e rappresenta un suggestivo spazio ambientale e storico della mente, nel quale legionari, centurioni e consoli sono attori memorabili di marce, addestramenti, accampamenti, fuochi accesi e fragore di armi. Il suono del corno e/o delle conchiglie usa ancora l’aria (come telefono-s.o.s. a misura di frecce-faretre-scudi e spade) e vaga, in cerca di orecchie attente alla storia. Fedele a ciò che fu, Este non tradisce le paternità del passato e ne trasforma le memorie (con tutte le sfumature epiche e liriche relative) in strade maestre del futuro. La Este romana deve essere stata importante, piena di movimento e di vita, uno snodo non indefferente di partenze e di arrivi, di pianificazioni e di commerci (legati alle forniture necessarie alle legioni romane e alla civiltà romana che progettava e costruiva strade e ponti che ancora non temono il tempo). L’agro di Este (come tutti dev’essere stato sicuramente disseminato di contrafforti militari da cui i segnali luminosi trasmettevano e captavano messaggi (anticipando i telegrafi e le telecomunicazioni del fantascientifico futuro). Nacque allora il primo disegno architettonico urbano di quella città e si fregiò del nome dell’imponente corso d’acqua che ne rendeva fertile, ridente e ambito il territorio (l’Adige, che i Romani chiamavano Athesis). Il fiume smise di attraversare la città, quando (589) straripò in modo tanto violento da spostare il suo stesso corso più a valle, ma lasciò il nome alla città, che si chiamò Atheste (donde deriva il toponimo Este).
Este brillò della gloria di Roma e alla sua caduta il capo si cosparse di cenere, questo io credo, perché (quando le invasioni barbariche calarono come pestilenze e il flagello di Attila si abbatté su Roma), il territorio di Este seguì il tramonto dell’Impero Romano, si spopolò e divenne un remoto abitacolo di villici e di capre. Ciò fa presupporre che Este si sia ribellata ad Attila e che se ne sia attirata l’ira, subendo il destino di tutte le città che, opponendoglisi, venivano distrutte.
Tornò in auge, però (dopo l’anno Mille), risorse (dalle sulle sue stesse ceneri, come la fenice) e vestì di case i terreni adagiati dolcemente (come un mantello principesco e fertile) attorno al castello (costruito dal marchese Alberto Azzo II d’Este, più o meno nel 1056).
Mai stanca della storia e dei suoi travagli piccoli e grandi (XI / XIII secolo), Este fu ambita/ conquistata/ ‘parcellizzata’ /posseduta/ contesa e accese dispute e avidità senza ritegno e senza fine (tra vari potenti dai nobili natali). Vere e proprie guerre medioevali furono combattute in nome della bella Este. Molte vite s’immolarono, al tempo di vassalli, valvassori, cavalieri e signori, in nome delle sue belle terre (che s’intrisero del sangue delle molte tenzoni). Le bellezze e le ricchezze territoriali di Este attirarono molte brame e causarono molti scontri tra potenti; appartennero (in larga parte) alla famiglia degli Ezzelini (e al suo rappresentante più potente: Ezzelino III da Romano), fino a quando Azzo VII d’Este non gliele strappò, con una sconfitta sanguinosa e definitiva (1260).
Le simpatie della gente del tempo saranno andate al casato D’Este, sicuramente, ma altrettanto sicuramente, gli animi delusi del popolo di Este avranno formulato molti quesiti, quando (soltanto diciannove anni più tardi) la famiglia degli Este se ne andò a Ferrara e abbandonò la città alle brame indisturbate (che durarono per tutto il Basso Medioevo e che ridussero il castello in rovine) degli ambiziosi di turno. Molti furono i soprusi che il popolo dovette subire e molte furono le lacrime che le donne (vedove e madri) dovettero versare, in nome della bella Este, che cadde sotto il controllo dei Padovani e finì schiacciata negli scontri tra loro e i Veronesi. Il signore di Padova (Ubertino da Carrara) ricostruendo (1339), il castello (che ancora oggi è come allora), esacerbò ulteriormente le ambizioni e le rivalità del signore di Verona (Cangrande della Scala, che aveva distrutto Este nel 1317).
Este patì molto e per lungo tempo, ma non si lasciò spezzare. Meditò una strategia della rivincita che fosse avulsa dalla guerra e dalle stragi e trovò il modo per risorgere (ancora una volta come una fenice) più bella e più forte che mai, sottomettendosi a Venezia, la grande Repubblica marinara (comandata dal Doge dal 697 al 1797). Tale gesto (che fu la fortuna di Este) mi commuove: quanto doveva aver sofferto la popolazione estense per giungere a rinunciare alla propria sovranità, pur di trovare pace? Quanto dolore può aver spinto quel popolo a cercare la ‘libertà’ nella sottomissione (“Libertà vo cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta…”)? Grande fu la prosperità di Venezia e si rispecchiò in Este, che fiorì ed echeggiò degli splendori veneziani, fino a quando la peste (1630) non ne trasformò lo stesso alito vitale in lamento (e fino alla decadenza della Serenissima).
Gli abitanti di Este si chiamano Atestini (da Atheste), ma io ritengo che (ancor più dei Ferraresi) meritino di chiamarsi Estensi, poiché l’insediamento della nobile famiglia d’Este in Ferrara avvenne soltanto dopo il passaggio in Este (dove ha costruito una delle meraviglie di Este: il castello –‘rinato’ come castello carrarese, ma ‘nato’ come castello estense).
Molte sono le meraviglie d’arte che la gente conosce di Este (il castello, appunto/ la ex villa mocenigo-attuale Museo Nazionale Atestino -che ospita la Madonna di Cima Da Conegliano/ la Villa Contarini o Contarena/ la chiesa di Santa Tecla -che ospita la Pala del Tiepolo/ ecc.), ma molte sono le meraviglie che la gente non conosce e mi piace citare, a tale proposito, alcune opere di Michelini: il mosaico delle Quattro Stagioni, sulla facciata della Banca di Credito Artigiano di Santa Margherita d’Adige/ le due grandi sculture in ferro, che stupiscono i visitatori, davanti alla stessa banca/ la Via Crucis in ferro, in Meggiaro d’Este.
Riflessioni sull’arte:
Le città d’arte sono un dono grandissimo di cui l’Italia è piena, come nessun altro luogo al mondo. L’arte è un pane di cui noi Italiani non manchiamo di sicuro (e, se ce ne priviamo e affamiamo lo spirito, possiamo soltanto recitare il mea culpa). Fortunati sono coloro che possono cibarsi dell’arte, perché essa è patria di bellezza.
La chiave della vita è tutta nella ricerca escatologica (e della bellezza nella materia/ indi del Creatore al quale conduce). Dio ha profuso bellezza in tutti gli angoli dell’universo (basta avere occhi per riconoscerla nelle cose imponenti –come il fascino lumescente delle infinite ‘colonie’ di corpi stellari- o nelle cose più umili e invisibili- come i fili d’erba, i granelli di sabbia, la vita indaffarata degl’insetti del prato, le nuance infinite dei più piccoli fiori di campo poco appariscenti, ecc., ecc.) e persino nell’animo umano (ove abita come purezza d’intenti pronti a farsi mani/passi-armonia).
L’armonia è musica (e la musica è note-strumenti-musicisti-concerti, ma è anche voce di Dio negli spazi siderali, nel microcosmo e nel macrocosmo, negli esseri vivi e nelle cose inanimate// è tutto infine), è amore ed è Dio. L’arte cerca i sortilegi dell’armonia e, quando li trova, si fa essa stessa armonia (dunque il sacro fuoco dell’arte è anche musica: la musica che canta nella grandezza e che, spesso, grida anche nello squallore dolente per l’esilio da Dio).
Ciò che seduce l’artista e che, attraverso l’arte, porta a Dio è proprio la danza del suo spirito con l’armonia (come messaggera tra Dio e lui/lui e Dio, ergo tra Dio e il mondo e viceversa). Tutto ciò non può non far pensare a Michelini (che ha cercato-inseguito Dio nel mondo e dentro di sé e ha creato bellezza –come un’ape operosa- ovunque e in ogni cosa, per innalzargli lodi). E m’incanta pensare alle orme dei passi micheliniani giramondo (disegnati –nel pubblico e nel privato- a tutta rosa dei venti attorno al globo), degli occhi-corridori (lanciati all’inseguimento dei luoghi in ombra da illuminare/ degli oggetti insignificanti da arricchire/ dei silenzi opprimenti da trasformare in lodi/ dei vuoti da riempire con il nome di Dio), delle mani percorse dal brivido perenne del fluire delle forme (e del colore dotato di codici diretti a tele, muri, cartoni, compensati, legno), del cuore aperto alla razza universale (dei figli dell’Amore panteistico), dell’esempio fatto parola (a misura di Divina Provvidenza e di Spirito Santo).
Ogni uomo è fratello all’altro, nella casa chiamata mondo (che spesso lo ignora e si fa alcova dell’odio e del male), e gli artisti, in genere, sono la cartina di tornasole di tutte le ‘musiche’-fratellanza e di ‘lacerazioni’-malesseri legati all’umana assenza di saggezza.
L’immensa misericordia di Dio ha dato a ogni artista un proprio canto da innalzare in favore delle une e delle altre. Il mio ‘canto’ è la scrittura. Dipingo (quando ho urgente bisogno di creare quel tanto di bellezza che mi parli del Creatore- ove, eventualmente, le dissonanze impediscano alla sua voce di farsi sentire), ma nulla ho a che vedere (anche se mi sono state organizzate delle mostre in giro per il mondo) con i ‘pittori’-artisti come Michelini, ‘grandi’ dell’arte predestinati da sempre e per sempre. Il mio compito è scrivere, su questa terra, credo.
Bruna Spagnuolo
Molte sono le ricchezze architettoniche che si fanno teatro quotidiano di arte e di bellezza, in Este (come si può dedurre dagli atti degli eventi artistici di seguito riportati).
FAMOSI ARTISTI OSPITI DELL’ASSOCIAZIONE “L’ARTIFICIO” DI ESTE
Architettonicamente splendida la sede seicentesca del cenacolo di cultura e di artigianato estense “L’ARTIFICIO” e di “USATE RARITÀ” di Facciolo Moira.
In uno spazio che si trova all’ombra del campanile del Duomo abbaziale di Santa Tecla e a fianco del cinema Farinelli la neonata L’Artificio costantemente presenta, a tutti gli amanti dell’arte e dell’artigianato, una serie di eventi culturali di grande rilevanza che ottengono sempre un confortante successo di pubblico visitatore e di critica messo in evidenza pure da diversi giornali: Corriere della Sera, TellusFolio, Mattino, Gazzettino, La Difesa del Popolo, La Voce di Rovigo, Il Resto del Carlino; tutti hanno già dedicato ampio spazio nelle loro pagine di cultura all’attività de L’Artificio e di Usate rarità.
Nelle antiche scuderie attigue al Palazzo Fracanzani, in via Zanchi, è stato effettuato un intervento di restauro che ha riportato alla propria incredibile bellezza un sito che fu bottega di falegnameria fino al 1954 e caratterizzato da una distesa di mattoni e pietre dalle particolarissime policromie tipiche dei cotti di secoli fa con due atipici archi romani.
Qui vengono mensilmente ospitati con la loro produzione grandi nomi del panorama culturale in appuntamenti di rilevanza nazionale; sempre però con la possibilità di dialogare personalmente con gli stessi artisti visto che, ospiti di Moira Facciolo di Usate rarità, il rinfresco e lo spazio stesso permettono l’incontro e la conoscenza di questi personaggi illustri.
Già la ceramista Maria Rosa Lissandrin, la scrittrice Alessandra Magro, l’acquerellista Paola Nardi, i musicisti Finotti, Veronese, Birro, il letterato Prof. Paolo Bottaro, gli attori de I mentalmente instabili, il Dr Zancanaro nonché il sovrintendente Dr Monti sono stati ospiti de L’Artificio e di Usate rarità, tutti concordi nel riconoscere la particolarità di questo cenacolo nella sua capacità di far incontrare i produttori con i fruitori dell’arte e dell’artigianato.
Sabato 19 settembre a L’Artificio si è tenuta la vernice della mostra di ceramiche “Armonie di tratti e ritratti” dell’artista Maria Rosa Lissandrin i cui lavori sono esposti in tutto il mondo, particolarmente in Brasile, sia in collezioni pubbliche che private.
Il vernissage della Lissandrin ha permesso al folto ed interessato pubblico d’incontrarsi e discutere delle opere prodotte per mezzo di una tecnica assai raffinata, lavori artistici che hanno saputo coinvolgere gli intervenuti portandoli, con l’ausilio della ceramista, alle interpretazioni più diverse e personali. Oltre che da L’Artificio, l’evento è stato realizzato dal negozio Usate rarità (nel quale risiede l’associazione culturale) e da “I Laboratori” di Ermanno Sturaro, ditta padovana di design e grafica, in collaborazione e con il patrocinio dell’assessorato alla cultura del comune di Este. Entusiasta il presidente dell’associazione culturale, Roberto Bevilacqua: «È stato un grande onore per la neonata associazione il poter presentare a così tante persone dei veri capolavori della ceramica proprio in una città, Este, così legata a questa forma di arte. Era ferma intenzione dei soci fondatori dell’associazione quella di aprire la propria attività culturale rendendo omaggio ad un materiale che ha contribuito alla notorietà della nostra splendida città nel mondo. Un sentito ringraziamento va a tutte le persone amiche che si sono adoperate affinché questo desiderio divenisse realtà. A loro e al comune di Este è dedicato lo splendido successo dell’evento». Este, infatti, può essere considerata uno dei centri più rinomati per l’arte della ceramica che nel corso dei secoli si è indissolubilmente legata alla storia della città. Dopo un fiorente periodo romanico, di cui il Museo Nazionale Atestino conserva una mirabile e copiosissima documentazione, verso il 1200-1300 la ceramica ha un nuovo impulso con la sperimentazione di nuove tecniche e la nascita di officine e laboratori. Nel 1700 il boom, quando in tutta Europa viene scoperta la porcellana ed Este diviene uno dei luoghi di produzione più nobili e prestigiosi, insieme a Nove di Bassano, Venezia e Treviso, di cui Girolamo Franchini è il maggiore e più conosciuto esponente. La mostra è stata quindi una sorta di tributo all’arte ceramista estense.
Sabato 21 novembre, sempre presso la prestigiosa sede di Usate rarità e dell’Associazione L’Artificio, si è nuovamente presentata al pubblico il neonato cenacolo estense di cultura e d’artigianato presieduto dal Maestro Roberto Bevilacqua.
Alla presenza di un folto ed interessato pubblico il Presidente ed il Prof. Paolo Bottaro hanno tratteggiato la figura e l’opera dell’artista noalese Paola Nardi.
I suoi acquerelli, una ventina in tutto, sono stati esposti nel contesto architettonico della sede estense del negozio di antiquariato e modernariato “USATE RARITÀ” di Moira Facciolo.
La vernice della mostra “Visione di Este riflessa sul canale” nome tratto da un lavoro esposto che propone un angolo d’Este riflesso sul canale Bisatto, ha il avuto come ospiti nomi altisonanti del mondo politico e della cultura fra cui il Consigliere provinciale Dr Draghi, Assessore alla cultura della Città di Montagnana, l’Assessore Pernechele di Casale di Scodosia, il Dr Frazza, già sindaco più giovane d’Italia, il Dr Fratucello, rappresentanti del Lions di Montagnana Este, i giornalisti Sarzi e Aguzzoni.
Ospite d’onore della vernice il celebre organista polesano M° Francesco Finotti.
Musicista di fama mondiale egli ha vinto concorsi internazionali ed ha presentato la propria maestria assieme al Presidente Maestro Roberto Bevilacqua nella cornice antica di Usate rarità.
Come sempre succede all’Artificio le tante persone intervenute hanno potuto incontrare e dialogare con l’acquerellista la quale, alla bicchierata offerta da Moira Facciolo, ha presentato le proprie tecniche e i propri lavori.
La mostra è rimasta aperta fino a sabato 28 novembre.