E’ la nostra inesistenza ad accoglierci nella lontananza.
Cosa avrei fatto Maurice senza la tua assenza, senza la tua fascinazione gentile, senza le tue pagine bianche che hanno assolto così spesso le mie.
Giustificarsi è cercare a posteriori la trama di un riscatto.
Ti penso Maurice e credo di averlo fatto sempre per guadagnarci innocenza, perché anche quando sentivo il tuo stesso freddo era sempre un prezzo piccolo, un fin li dove potevo arrivare.
E io che credevo che scegliere fosse soltanto concludersi, rimanevo sempre in bilico tra l’accettazione e il lamento, con tutto quel tempo che credevo di avere per il libro a venire…quell’altrove Maurice a cui non ci si destina ma vi si precipita.
E anche adesso che tutto lo spazio è il sommario di solitudini a fari spenti, vorrei essere più a Parigi per rimanerti più vicino, ma forse è un artificio dei vorrei prestarsi per proteggersi.
Tu mandami a dire di questo silenzio che è un lusso, di questo silenzio altrettanto che non vuole ragioni.
Ti cercavo Maurice perché volevo accadere senza essere storia, ti ho trovato per descrivermi, ti ho inseguito per attendermi, e ancora ti incontro a una riga vuota da qui, dove ogni quello è un questo da rifare, dove si rimane intrappolati in un’inutilità essenziale, e chissà perché sei sempre al principio di ogni frase incompiuta.
Che poi è pure vero che scrivere è il movimento della morte, il tentativo raffazzonato di rispondere agli interrogativi del silenzio.
Ero già con gli anni avanti quando ho incontrato i tuoi altrimenti, in quel tempo dei giorni deboli dove serve esser più forti.
Venire da è più importante che andare verso, e noi che non siamo pieni d’avvenire ci apriamo al deserto, quel deserto che è solo ospite dell’eccesso di sabbia in granelli.
E’ qui il tuo posto, qui, come quello di Fernando seduto verso il fondo, dove ci si scopre frequentati e l’abisso più profondo è quello di un dio che tace.
E’ qui il tuo posto, in tutto il sonno delle parole da fare, dove fare non è per dire, ma per ascoltare.
Alessandro Assiri www.lettereanessuno.splinder.com
Nota Biografica
Maurice Blanchot nasce a Quain (Saône-et-Loire) in una casa agricola ereditata dalla famiglia cattolica della madre, aveva due fratelli e una sorella e il padre era professore. Dopo essersi diplomato molto giovane poi studiò filosofia presso l'università di Strasburgo dove ebbe modo di conoscere Emmanuel Lévinas, che lo avvicina al pensiero fenomenologico di Heidegger e di Husserl. Legge Marcel Proust e Paul Valéry. Studia anche medicina, ma è attratto dal giornalismo e dalla critica sociale e letteraria, collaborando ad alcune riviste di estrema destra. Però al contempo è contro Hitler ed è uno dei primi a insorgere, sul quotidiano «Le Rempart» (diretto dall'amico Paul Lévy), contro le prime spedizioni di ebrei in campi di lavoro. Nel 1936 muore suo padre, e partecipa al mensile “Combat”, l'anno dopo si allontana dala scrittura politica e polemica e conosce Jean Paulhan, che lavora in Gallimard. Nel 1940 segue il governo di Vichy fino a Bordeaux dove lavora al «Journal des débats» e dove incontra Georges Bataille, altro amico per lui importante.
Nel 1944 rischia la fucilazione ma è salvato in estremo. Dopo la II guerra mondiale, Blanchot lavora ormai quasi solo come scrittore e critico letterario, collaborando alla «NRF» e diventando punto di riferimento degli intellettuali a lui coevi: la sua opinione è salda, profonda e guidata da studio e gusto certo. Quando nel 1962 muore Georges Bataille scrive un testo sull'amicizia, poi inizia una lunga corrispondenza con il filosofo Jacques Derrida, ma di fatto è isolato, nonostante comincino a rendergli omaggio diversi intellettuali e un numero di «Critique» del 1966 ospiti articoli su di lui di René Char, Paul de Man, Michel Foucault, Jean Starobinski ecc.
Nel maggio del 1968 Blanchot esce dal suo relativo isolamento, per protestare in favore degli studenti, e negli anni successivi scrive alcune opere contro il silenzio di Heidegger nel dopo-guerra a proposito dell'olocausto e per omaggio accorato a Paul Celan (L'ultimo a parlare, 1972).
È uno degli autori in cui la filosofia e la letteratura si mescolano al loro meglio e alcune sue riflessioni critiche sullo scrivere hanno sapore di pensiero classico. Dal punto di vista politico Blanchot è passato da un atteggiamento iniziale di destra all'adesione al pensiero dell'estrema sinistra. Man mano che passano gli anni la sua scrittura diventa sempre più rarefatta e frammentaria, e la scomparsa degli amici (Lévinas nel 1995, Duras nel 1996, Mascolo nel 1997, il fratello René nel 1978, la sua vedova - con la quale Maurice ora abita - nel 1995 ecc.) lo portano a riflettere semre più spesso sulla morte. I suoi libri più importanti sono Aminadab (1942), La follia del giorno (1949 e 2002), Lo spazio letterario (1955), L'infinito intrattenimento (1969), La scrittura del disastro (1980) e L'istante della mia morte (1994 e 2002). È morto il 20 febbraio 2003 a Yvelines.